lunedì 31 dicembre 2012



Al giudizio sarò solo con Dio
(Parte II)


Dopo qualche secondo Michele riprende le parole.
-Credo che sia un avviso del Signore di star pronto a partire.
Qualche minuto dopo va a trovare don Bosco:
- Guardi che massima mi è toccata alla riunione della Compagnia: “Al giudizio sarò solo con Dio”. È il Signore che mi cita a comparire davanti al suo tribunale.
- Ma no, Michele! Non impressionarti così. Tutti dobbiamo essere pronti a morire quando il Signore ci chiama. Non dice il Vangelo che il Signore verrà come un ladro?
Ma Michele è convinto che don Bosco sa e che non vuole parlare.
- Mi dica: quanto tempo mi resta da vivere?
- Vivremo finché il Signore vorrà.
Michele diventa sempre più ansioso.
- Mi dica almeno se finirò l'anno che abbiamo appena cominciato.
- Su, coraggio, Michele! Sai bene che è inutile fare queste domande. La nostra vita è nelle mani di Dio. Lui solo conosce quanto tempo ci resta da vivere. L'importante non è sapere l'ora della morte ma esser pronti a morir bene.

- Se lei non me lo dice, vuoi dire che quell'ora dev'essere molto vicina.
- Non credo che sia tanto vicina; ma anche se lo fosse, non saresti contento di andare in paradiso a vedere la Madonna?
- È vero... ha ragione.
E don Bosco conclude:
- Ascolta me: conservati calmo e sereno. Come san Luig.


Lunedì e martedì non accadde nulla di speciale. Michele era allegro come sempre.

- Bravo! - gli disse Beppe dopo una brillante vittoria a “ barra rotta”. -Adesso pensa a vincere la prossima partita, non a morire. Ma Michele non è persuaso e mormora:
-Eppure tocca a me.
Mercoledì dopo pranzo, durante la ricreazione, don Bosco lo vede tutto solo sul balcone. Guarda gli altri ragazzi che stanno giocando.
- Come mai non giochi?
- Non sto bene. Credo siano i miei soliti vermi.
- Se è solo quello, non è nulla di grave. Non aver paura. Va' dall'infermiere e chiedigli qualche medicina.
Don Bosco segue con lo sguardo preoccupato il suo piccolo "generale”. A Michele non restano che due giorni di vita.



Giovedì mattina Michele si alzò con gli altri ragazzi. Ogni giovedì faceva la Comunione per i moribondi, ed anche quel giorno non volle ometterla. Dopo colazione cercò di giocare, ma le gambe gli sembravano pesanti come piombo. Gli girava la testa e stentava perfino a respirare. Don Rua se ne accorse e gli domandò:

- Come ti senti stamattina?
- Non troppo bene. Sono tanto stanco! Non riesco a respirare. Vorrei mettermi a letto.
-Ma certo! Va' subito in infermeria e cerca di riposare
Un'ora dopo, don Bosco è al suo capezzale.
-Ti senti meglio adesso?
-Sì, un po' meglio.
-Ho una buona notizia da darti. Indovina chi è venuto a trovarti.
-Mia mamma?
-Come hai fatto a indovinarlo? Sì, tua mamma è venuta a Torino per affari e naturalmente vuol  vederti.
-Sono tanto contento che sia venuta. Mi sento mezzo guarito.
-E adesso cerca di guarire anche l'altra metà. Le dirò che non c'è nulla di grave. Ora cerca di riposare e sta' sereno e allegro.
La mamma è molto preoccupata, ma dice a don Bosco:
-Può darsi sia la solita malattia.
Michele desidera avere vicina la mamma, e don Bosco l'accontenta.

Verso sera don Bosco ritiene prudente chiamare il medico, il quale però non pensa si tratti di cosa grave.
-Continuate a dargli le stesse medicine, -dice a don Bosco, - e fra due o tre giorni il malato sarà perfettamente ristabilito. 

giovedì 27 dicembre 2012


Al giudizio sarò solo con Dio
(Parte I)


Michele Magone, un giovane allievo di San Giovanni Bosco, da monello di strada divenne un modello per tutti i ragazzi dell’Oratorio. In questi giorni pubblicheremmo in tre parti gli ultimi giorni della sua vita, scritti dallo stesso Don Bosco.

Chi ha messo in cuore a Michele quel misterioso presentimento? Negli ultimi tre mesi di vita, il pensiero della morte gli è diventato sempre più familiare
Il 31 dicembre, dopo le preghiere della sera, don Bosco invitò tutti a ringraziare Dio per le grazie ricevute durante l'anno che stava per finire.
- Per alcuni di noi potrebbe essere l'ultimo anno di vita- aggiunse posando la mano sul capo del ragazzo che gli stava più vicino. E questo ragazzo era Michele.
Michele ne restò profondamente impressionato e con la familiarità che don Bosco permetteva ai suoi “figlioli”, disse:
- Vedo che per me è giunta l'ora di fare le valigie e di partire per l'eternità. Bene! Cercherò di essere pronto.

Tutti risero, ma né Michele né i suoi compagni dimenticarono quell'incidente. Tutti infatti sapevano che don Bosco leggeva nell'avvenire e che aveva già predetto la morte non solo di alcuni dei suoi ragazzi ma anche di personaggi importanti come la regina del Piemonte, la regina madre e il fratello del re. È per questo che le parole di don Bosco fecero tanta impressione su Michele.
- Che ti è saltato in mente ieri sera? - gli domandò Beppe il giorno dopo.
- Quando don Bosco mi mise la mano sul capo, ho sentito che parlava di me, e che sarei stato io il primo a morire.
- Perché devi essere tu? E vero che hai i “vermi”, ma li hanno anche tanti altri. Di salute stai meglio di me. Non sei stato malato nemmeno una volta qui all'Oratorio.
- Hai ragione. Eppure sento che tocca a me.
Non per questo Michele perde la sua allegria. Seguendo le esortazioni di don Bosco, vuole imitare anche lui  san Luigi. Un giorno domandarono a questo santo mentre stava giocando:
- Che faresti se un angelo ti avvertisse che fra mezz'ora devi morire?
E san Luigi:
- Continuerei a giocare

Anche Michele continuerà a giocare. Di che deve aver paura, dal momento che don Bosco gli ha tante volte assicurato che è in grazia di Dio?
Il 16 gennaio 1859 è domenica. A Michele non restano che cinque giorni di vita. Come ogni domenica, partecipa alla riunione della Compagnia del SS. Sacramento. Al termine dell'adunanza vengono distribuite ai soci alcune pie massime da praticare durante la settimana seguente. Michele estrae a sorte la sua. La legge e impallidisce. Se ne accorge il vicino.
- Leggila forte, - gli dice.
Michele legge:
“ Al giudizio sarò solo con Dio ”. 




Tratto da "La vita di Michele Magone" trascritta da Cherubino Mario Guzzetti (1974), basata sulla biografia scritta da Don Bosco e da lui pubblicata nel 1861

domenica 23 dicembre 2012


Non c’era posto nella locanda

In questi giorni vicini al Natale vi proponiamo un testo del servo di Dio Fulton J. Sheen che mostra l’umiltà di Dio che nasce in una stalla, l’ultimo luogo al mondo in cui si sarebbe andati a cercarlo.

Cesare Augusto, il capo contabile del mondo, sedeva sul suo palazzo sul Tevere, tenendo inanzi a sé spiegata una carta geografica intorno a cui correva la leggenda: Orbis Terrarum, Imperium Romanum. Stava per emanar l’ordine del censimento del mondo, ché tutte le nazioni del mondo civile erano soggette a Roma. Ai margini dell’Impero, nel villaggetto di Nazaret, i soldati affissero ai muri l’ordine che tutti i cittadini si facessero censire nelle città da cui le rispettive famiglie traevano origine.

Il falegname Giuseppe, oscuro discendente del gran re Davide, fu costretto a farsi censire in Betlemme, la città di Davide, appunto. In obbedienza a quell’editto, Maria e Giuseppe partirono dal villaggio di Nazaret alla volta del villaggio di Betlemme, che si trovava a circa otto chilometri di distanza, sull’altro versante di Gerusalemme. A proposito di quel villaggetto, cosí il profeta Michea, cinquecento anni prima, aveva profetato: “E tu, Betlemme, non sei la piú piccola tra le principali città di Giuda, perché da te uscirà il duce che deve reggere il mio popolo, Israele” (Mt. 2,6)
Nell’entrare nella città della sua famiglia, Giuseppe era pieno di speranza, nonché affatto sicuro che non avrebbe avuto alcuna difficoltà a trovare un alloggio per Maria, delle cui condizioni per certo si sarebbe tenuto particolarmente conto. E andò di casa in casa, Giuseppe, e tutte le trovò ingombre di gente, invano cercando un sito dove Colui al quale il cielo e la terra appartenevano potesse nascere. Poteva mai darsi che il Creatore non trovasse una casa nel creato? Sú per un erto colle si arrampicò Giuseppe attratto da una lanterna fioca che, sospesa a una fune, si dondolava dinanzi a una porta: era la locanda del villaggio. Dove, a preferenza di ogni altro sito, egli avrebbe certamente trovato asilo. Ebbene, nella locanda c’era posto per i soldati romani che brutalmente avevan soggiogato il popolo di Giuda; c’era posto per le figlie dei ricchi mercanti orientali; c’era posto per quanti, sontuosamente vestiti, vivevano nelle dimore del re; insomma c’era posto per chiunque si trovasse in grado di dare una moneta al locandiere; ma non c’era posto per Colui che sarebbe venuto al mondo per essere la Locanda d’ogni e qualunque cuore derelitto di questa terra. Quando finalmente le pergamene della storia saranno tutte ricoperte nel tempo sino alle ultime parole, la frase più triste sarà questa: “Non c’era posto nella locanda.”
Dipartitisi dalla collina, Giuseppe e Maria finirono col riparare in una stalla sotterranea, dove talvolta i pastori guidavano le greggi durante la tempesta. Là, in un cantuccio tranquilo nello squallore di una gelida caverna esposta al vento, là, sotto il livello del mondo, Colui che in cielo nasce senza madre, in terra nasce senza padre.

Nel sito più sudicio del mondo, in una stalle, nacque la Purezza. Colui che poi sarebbe stato massacrato da uomini operanti al pari di bestie nacque fra le bestie. Colui che si sarebbe definito il “pane di Vita disceso dal Cielo” giaceva in una greppia, in una vera e propria magiatoia. Alcuni secoli prima, gli Ebrei avevano adorato il vitello d’oro; e i Greci, l’asino d’oro: dinanzi ad essi, gli uomini si erano inchinati come dinanzi a Dio. Sia il bue che l’asino erano adesso presenti per fare atto d’innocente riparazione, chini dinanzi al loro Dio.
Nella locanda non c’era posto, ma c’era posto nella stalla. La locanda è il luogo in cui si riunisce la pubblica opinione, il punto docale delle mode del mondo, il luogo di convegno degli spiriti mondani, il sito in cui si radunano quanti abbiano raggiunto la notorietà e il sucesso. La stalla invece è il sito del proscritti, degli ignoti, dei dimenticati. Era lecito che il mondo aspettase che il Figlio di Dio nascesse –se proprio doveva nascere- in una locanda; una stalla era l’ultimo luogo al mondo in cui si sarebbe andati a cercarLo. La Divinità sta sempre dove meno ci aspettiamo di trovarla.


Tratto da “Vita di Cristo”, Fulton J. Sheen; Richter, Napoli, 1963. Pagg. 31-33

venerdì 14 dicembre 2012



La prima chiamata e 
la conversione individuale


Il tempo di Avvento è un periodo di preparazione al Natale, un invito forte alla conversione. Infatti, "non c'è nulla che piaccia tanto a Dio quanto la conversione e la salvezza del'uomo" (San Gregorio Nazanzieno). Elena ci parla in questo articolo del primo incontro dell'anima con Dio e del bisogno di rinnovare ogni volta la nostra fedeltà verso di Lui.   


C’è un momento decisivo nella vita  di ogni uomo, in cui scatta qualcosa nel cuore. Questo momento è l’istante in cui, per la prima volta, ascolti la voce di Dio in maniera totalmente individuale.

Tutto ciò, dovrebbe accadere quando un bambino cresce e diventa adolescente. In quel momento inizia la vita spirituale- individuale di ogni uomo.  Si perché, finché si è bambini, e si ha la fortuna di nascere in una famiglia cristiana sono (o dovrebbero essere) i genitori a farti pregare e a portarti in chiesa. In quello stadio la fede e la vita spirituale ci sono, ma non sono ancora sviluppate del tutto.  Nel momento in cui c’è il salto della conversione individuale invece, si comincia a parlare a tu per tu col Signore, cuore a cuore, come una persona con il suo migliore amico. Purtroppo molti ragazzi, anche se sono cresciuti, non hanno vissuto questo cambiamento nella loro vita spirituale, ciò comporta la maggior parte delle volte l’allontanamento dalla vita spirituale oppure una falsa fede, con il conseguente inizio di una vita di peccato.

La conversione individuale può non avvenire per molteplici motivi. Alcune volte perché la famiglia non è una vera “famiglia cristiana” e, dopo i sacramenti della comunione e della cresima, i figli non vengono più accompagnati nella vita spirituale; oppure può succedere che, sebbene la famiglia sia praticante, i genitori non abbiano saputo portare avanti l’opera iniziata dal catechismo durante la crescita dei propri figli. I genitori devono fare un’incessante opera di catechesi nella vita dei propri figli. Ciò  significa fargli capire, mentre loro crescono, che quello che gli è stato insegnato non è una favoletta. La famiglia deve dare spessore e concretezza alle semplici nozioni ricevute dai ragazzi quando erano bimbi, calandole nella vita di tutti i giorni e avendo un dialogo continuo con loro. Come ulteriore supporto, la figura di un direttore spirituale che segua sia i figli che i genitori, sarebbe qualcosa di davvero importante per far si che nei figli avvenga questa presa di coscienza e che essi comincino a vivere consapevolmente la fede in maniera individuale. Il momento di questa prima chiamata (la seconda sarà quella dell’elezione di stato) diventa conversione individuale solo se è accolta dalla persona. Se questo avviene, si comincia a vivere un rapporto di dialogo e conoscenza sempre più profondo e sincero col nostro creatore. Si comincia a vivere la FEDE vera!

La chiamata individuale di conversione c’è per tutti, solo che, se la si accoglie quando si è già adulti è molto più difficile corrispondere, perché si è in uno stato di isolamento incallito dal dialogo spirituale con Dio, che ci rende impermeabili alla grazia e pigri. Chi non ha saputo corrispondere e quindi non si è convertito, non conosce minimamente la bellezza del rapporto personale con Dio e si limita a vedere la cristianità solo dal suo involucro esterno o attraverso falsi pregiudizi.
Per questo chiediamo sempre al Signore e alla Madonna Santissima, per noi e per il mondo intero, che ci faccia corrispondere bene alla sua volontà, così da “rimanere nel suo amore”(Gv 15,9) ed essere con lui, una cosa sola per tutta l’eternità.

Elena

mercoledì 12 dicembre 2012


Come fare ad educare i propri figli?




Vi proponiamo oggi una parte di un articolo di P.Miguel Angel Fuentes che raccoglie alcuni punti chiave per l’educazione dei figli. Ringraziamo ancora Tullia Trevisan che ha tradotto dallo spagnolo questo testo.

  

L’educazione dei figli non è solo un atto di generosità ma anche un dovere dei genitori; questo è ciò che viene chiesto anche durante il matrimonio: “Siete disposti a ricevere da Dio responsabilmente e amorosamente i figli che riceverete e ad educarli secondo la legge di Cristo e della Chiesa?”.
           
Gli sposi sono collaboratori di Dio non solo nella procreazione ma anche nell’educazione dei figli attraverso la quale i coniugi partecipano alla pedagogia divina che è allo stesso tempo paterna e materna.       

Marcellino Champagnat indica i punti chiave per l’educazione di un bambino e di un giovane. Li sintetizzo in modo conciso:



(a)  Educare il bambino vuol dire mostrargli la sua intelligenza e fargli conoscere la religione, che è il fine dell’uomo, la necessità della salvezza, la morte, il giudizio, il cielo, l’eternità, il peccato, l’inferno, i comandamenti della legge di Dio e della Chiesa; la vita di Gesù Cristo e i suoi misteri..
(b)     Educare il bambino vuol dire indirizzare le sue cattive inclinazioni, correggere i suoi vizi e difetti.
(c)  Educare il bambino vuol dire formare il suo cuore e sviluppare le sue buone disposizioni. Il cuore dei bambini è una terra fertile che riceve il seme per la prima volta. Se si coltiva e si prepara bene il cuore, il seme è buono e produrrà frutti abbondanti e duraturi.
(d)  Educare il bambino vuol dire formare la sua coscienza (facendogli capire che deve seguire i principi della legge di Dio, i motivi della fede e i dettami della coscienza e che non deve seguire le opinioni del mondo); bisogna infondergli il rifiuto del peccato facendo capire che la virtù, come il peccato, vengono dal cuore; infondendo amore alla verità e avversione alla bugia.
(e)   Educare il bambino  vuol dire anche abituarlo alla pietà. L’educazione alla pietà è tutto, bisogna farla penetrare nel cuore del bambino, in lui si devono manifestare tutte le virtù come un incendio che distrugga tutti i vizi e difetti.
(f)   Educare il bambino è far sì che lui ami tutte le virtù e la religione. Il bambino amerà la religione e si affezionerà a essa per convinzione e coscienza, ma solo se comprende bene queste quattro verità: la religione è la grazia più grande che Dio ha fatto per l’uomo, ogni comandamento della legge di Dio è un vero beneficio e fonte di gioia per l’uomo, anche se da un punto di vista temporale; la religione combatte i nostri nemici (il demonio, il peccato, i vizi e le passioni che ci degradano); solo la virtù rende felice l’uomo
(g)  Educare il bambino vuol dire formare la volontà e insegnare ad obbedire per amore e non per timore.
(h) Educare il bambino vuol dire formare il suo giudizio, la sua riflessione e il suo discernimento.
(i)    Educare il bambino vuol dire formare la sua indole, il suo genio e il suo carattere.
(j)    Educare il bambino vuol dire vigilarlo continuamente.
(k)  Educare un bambino vuol dire far radicare l’ amore per il lavoro, l’ordine e la pulizia.
(l)  Educare il bambino vuol dire facilitargli le conoscenze che saranno necessarie al suo stato e posizione.
(m) Educare il bambino vuol dire anche dedicarsi al suo sviluppo fisico e alla sua salute.
(n)  Concludendo, educare il bambino vuol dire dare i mezzi per acquisire la perfezione possibile del suo essere e fare di lui un uomo completo.




In conclusione, il santo educatore è possibile riferirlo a questo esempio: “Il padre di Socrate, che era uno scultore, mostrandogli un blocco di marmo gli disse: “In questo blocco di marmo c’è rinchiuso un uomo e voglio farlo uscire martellandolo”. Per questo, aggiunge P. Marcellino, “quando vi si presenta un bambino ancora ignorante, senza educazione e che non conosce un’altra vita che va al di là dei sentimenti, potrete dire con maggiore ragione, come  il padre di Socrate: “Qui c’è un uomo, un buon padre di famiglia, un buon cittadino, un discepolo di Gesù Cristo, un santo, un eletto per andare in cielo, ed io voglio farlo uscire, voglio istruirlo nei suoi obblighi, nel suo destino, a riformarlo, a svelarlo ed a far sì che egli sia quello che può e deve essere”.



Bibliografia: Beato Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie; Pontificio Consiglio per la Famiglia, Sessualità umana: Verità e Significato; Fratelli Maristi, Sentencias, enseñanzas  y avisos del P. Marcelino Champagnat, Expuestas y Explanadas por uno de sus primeros discípulos; Ed. H.M.E., Bs. As. 1946.

sabato 8 dicembre 2012

Famiglia e Amore puro

(seconda parte)


L'importanza della Famiglia
Che cosa ci vuole per far durare un matrimonio? Sacrificio, pazienza e autocontrollo.

Quali qualità deve sviluppare una coppia che decide di vivere la purezza? Sacrificio, pazienza e autocontrollo!

La castità è il vero test dell'amore, non la convivenza. Una famiglia stabile, “fondata sulla roccia”, su Dio e cioè sull'Amore, è il desiderio profondo di ognuno di noi. Non siamo stati creati per vivere in una condizione di paura e incertezza, temendo la separazione, il divorzio, i tradimenti. Nella convivenza, nessuno dei due mette in gioco e sacrifica qualcosa di importante della propria vita: se qualcosa va storto, ci si può facilmente lasciare; permette di ottenere i piaceri e i vantaggi del Matrimonio, senza i doveri e gli obblighi annessi. Sarebbe l'ideale...se fosse davvero ciò che desideriamo. Ma non lo è! (grazie, Signore, per questo!).
Dio non solo ci ha creati per l'Amore puro e vero, ma ci ha creati addirittura per l'eternità: come possiamo pensare di accontentarci di quel poco che offre la convivenza?

L'amore a cui Dio ci chiama nel Matrimonio è un amore libero, totale, fedele, per sempre e aperto alla vita. L'unica unione che rispetta questo amore è l'unione tra l'uomo e la donna (come piace ricordare al Signore fin dalla prima pagina della Sacra Scrittura). La convivenza (sia tra persone di sesso uguale che di sesso opposto) non è un amore totale, spesso non è né fedele, né libero e di sicuro non è aperto alla vita.

Quest'ultima caratteristica, l'apertura alla vita, è spesso dimenticata o sottovalutata: Dio ha voluto donare all'essere umano un pizzico della sua infinita Potenza creatrice, riservando all'uomo e alla donna un ruolo fondamentale nella creazione di un nuovo essere. “[...] Grazie alla loro partecipazione all'inizio della vita di un nuovo essere, l'uomo e la donna partecipano nello stesso tempo a loro modo all'opera della creazione.”(Karol Wojtyla, Amore e Responsabilità). Non riusciremo a capire mai abbastanza l'immensità di questo dono.


Per esperienza personale, credo che ci siano almeno due cose che fanno della famiglia qualcosa di unico, fondamentale e che dovrebbe essere diritto di chiunque (oggi viene negato perfino questo).

Prima di tutto, è nella famiglia che riceviamo le basi dell'istruzione cattolica; che ci viene trasmesso l'amore verso la Santissima Trinità e verso la Vergine Maria, il rispetto della Parola di Dio e l'importanza dei Sacramenti.

Mi ricordo che, quando ero piccolo, i miei genitori provarono in tutti i modi a farmi entrare in un gruppo di azione cattolica ma mi sono sempre rifiutato di farne parte. Non oso immaginare dove mi troverei adesso se la mia famiglia non mi avesse aiutato ad approfondire la mia fede durante tutti questi anni!

Il secondo aspetto credo sia il più importante: mi sono reso conto di quanto mi hanno aiutato i miei genitori semplicemente pregando ogni giorno per me. In tutti quei momenti difficili in cui venivo tentato e messo alla prova senza rendermi conto davvero di quello che stavo per fare, capivo che c'era sempre un qualcosa che mi impediva di avvicinarmi troppo al male. Eppure tanti altri ragazzi non avvertivano questa sensazione: c'era realmente qualcosa di diverso. C'era realmente Qualcuno sempre vicino a me.

È questo, per me, ciò che rende enorme il gran dono della Famiglia: la capacità di aiutarsi l'un l'altro, specialmente nella preghiera, per conseguire lo scopo principale della vita di ognuno di noi e cioè la salvezza della propria anima. 


giovedì 6 dicembre 2012


Famiglia e Amore puro 
(prima parte)


Stefano Principe ci parla dell'importanza della famiglia e della sua stretta relazione con la purezza. È Gesù stesso che ci mostra che tutte le cose più belle richiedono sempre grandi sacrifici: la vera Felicità, infatti, non si raggiunge prendendo facili scorciatoie ma affrontando le difficoltà della vita nella famiglia, nelle relazioni, sul lavoro, con grande fiducia nell'aiuto sempre presente del Signore.


Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.” (Gv 15:12)


Il vero Amore: Gesù Cristo
Un po' di tempo fa, un mio amico mi ha raccontato di quando lui e sua moglie dovettero decidere quali canti, quali letture e quale passo del Vangelo scegliere per la celebrazione del loro Matrimonio. Il parroco proponeva i passi classici che parlano dell'amore, del rispetto tra l'uomo e la donna ecc... Questo ragazzo, invece, gli chiese se fosse possibile leggere il racconto della Crocifissione di Gesù dal Vangelo secondo Giovanni.
Morendo in croce per noi, Gesù Cristo, Dio, ci ha mostrato cosa vuol dire amare davvero. Ci ha fatto capire come soddisfare questo desiderio di Amore infinito, di Pace infinita, di Gioia infinita che ognuno di noi ha nel suo cuore. Come? Semplice (mica tanto!): dimenticandosi di se stessi e, cioè, dando tutto – proprio tutto - al prossimo, al vicino, al fratello, al nemico, allo sposo, alla sposa, come Lui ha donato tutto se stesso sulla croce, per tutti noi. Con un amore libero, totale, fedele ed eterno, ci ha fatto capire che c'è molta più gioia del donare che nel ricevere.
Praticamente Gesù ha dato la risposta al quesito più grande dell'esistenza umana e, nonostante questo, continuiamo a cercare quella risposta in ogni oggetto materiale, luogo e persona di questo mondo, ma sopratutto in una cosa: nel sesso.

Sesso=Amore?
Si sarà sentito veramente un genio il diavolo quando gli è venuta in mente l'idea di convincere gli uomini che fare sesso vuol dire amare! Televisione, internet, riviste, ogni cosa sembra voler convincere sempre di più i ragazzi che sei davvero uomo se prendi dalla donna tutto quello che puoi e che sei davvero donna se ottieni l'attenzione degli uomini, dando loro tutto quello che hai, tutta la preziosità del tuo corpo.
Questo, insieme alla pornografia, è entrato nella mente dei giovani e ormai fa parte della “normalità”. È qualcosa a cui non si può proprio più rinunciare perché è una componente essenziale della vita: il sesso è piacere, valvola di sfogo ma, quando trovi la persona giusta si trasforma, come per magia, in amore.
Al ragazzo tutto questo piace perché ha paura dell'impegno, ha paura di mettersi in gioco, di rinunciare davvero a qualcosa, di sacrificare una parte di se per un fine più grande, per l'Amore vero. Ed è dalla paura dell'impegno e del fallimento che nasce l'idea della convivenza.


Prendere un impegno, rinunciare a qualcosa di significativo e a cui teniamo davvero: rendiamoci conto che è proprio questo ciò che Gesù ci ha detto di fare. E non penso che esista, per un ragazzo o per una ragazza, un sacrificio più grande di quello che fa decidendo di rinunciare alle sue passioni per la persona che ama. Rinunciare al sesso non per paura della gravidanza o delle malattie ma per rispettare l'altro, non solo il suo corpo ma anche (e sopratutto) la sua anima. Inoltre, quando il sesso entra in scena, diventa spesso il centro della relazione, spingendo fuori tutto il resto.
Ci impedisce di amare davvero l'altro e di amarlo per quello che è. Invece ci rende bravissimi ad “amare” l'altro per quello che ci dà e per le emozioni che ci fa provare. Ma è amore questo? La domanda è retorica e la risposta è no.
L'amore non si fonda neanche sulle emozioni e sui sentimenti: sono sicuramente una parte molto importante, ma non possono essere la base di una relazione. Il motivo è semplice: ci saranno momenti in cui tutte quelle emozioni, il desiderio di stare sempre con l'altro, il sesso, non potranno esserci a causa di momenti difficili che sono sempre presenti in una relazione e nel Matrimonio..
A quel punto, con la mente lucida, saremo in grado di vedere cosa c'è alla base di quel rapporto. Mi chiedo: quando non vedremo niente, cosa ci impedirà di tradire il nostro coniuge o di lasciarlo?

Non mancate!
Una grande occasione per riscoprire il valore autentico dell'amore puro e della famiglia è la Giornata delle Famiglie, organizzata dall'Istituto del Verbo Incarnato. Si terrà il giorno 9 Dicembre a Tuscania, al Monastero di San Paolo delle Clarisse: vi invito a partecipare.
Ci sarà anche un tavolo dedicato all'amore puro dove verrà spiegato un progetto che stiamo portando avanti a Benevento, la mia città. Il progetto consiste nel diffondere il messaggio della castità nelle scuole superiori di Benevento e provincia, partendo dalle testimonianze dei giovani impegnati in quest'iniziativa.
Contiamo sulla vostra presenza e, sopratutto, sulle vostre preghiere!