sabato 31 gennaio 2015

La laicità dello Stato
(parte 2)

di Giacomo Samek Lodovici



Giacomo Samek Lodovici ha conseguito il dottorato di ricerca ed è assegnista di ricerca presso la cattedra di Filosofia morale all'Università Cattolica di Milano. Collabora a varie riviste, scientifiche e divulgative, come "Annuario di etica", "Rivista di filosofia neoscolastica", "Il Timone", "Studi cattolici".

5) Norme valide solo per i credenti, perché accessibili solo a chi ha la fede, che incentivano le azioni moralmente positive (non obbligatorie) per il credente («prega spesso», «vai spesso a messa», «fai spesso il digiuno», ecc).
6) Norme valide per chiunque, perché accessibili con il ragionamento, che incentivano alcune azioni moralmente positive (non obbligatorie) per chiunque («fai volontariato», «consola chi è afflitto», «vai a trovare i malati», ecc.).
Ebbene, in un regime di «sana laicità» lo Stato:
– deve vietare solo le azioni del quarto tipo, perciò devono essere reati solo le azioni che ricadono sotto le norme corrispondenti (cfr. Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q. 96, a. 2).
È vero che tali norme del quarto tipo che lo Stato deve emanare sono anche norme morali cristiane. Ma tale coincidenza non è la conseguenza di una mera traduzione delle norme religiose in leggi dello Stato. Piuttosto, queste norme devono essere recepite dallo Stato non già perché sono cristiane, bensì solo perché sono accessibili a chiunque con il ragionamento (infatti sono norme della legge morale naturale) e perché le azioni da esse vietate danneggiano significativamente il prossimo.
Invece, lo Stato non deve vietare con la legge le azioni che ricadono sotto le norme del primo tipo, sotto le norme del secondo tipo (su questo punto la controversia è attualissima, cfr. dibattito sull’eutanasia di chi la richiede; personalmente ritengo giusto sia vietare la collaborazione ad un suicidio, sia – tranne in un caso – impedire ad un uomo di suicidarsi, ma non il divieto legale del suicidio, che pur è un atto gravemente e sempre malvagio; la questione richiederebbe molte spiegazioni, prevedo che qualche lettore potrà essere in disaccordo, e la mia opinione è ovviamente opinabile: l’ho motivata almeno parzialmente nell’articolo citato in bibliografia) e del terzo tipo.
Queste azioni, pur essendo moralmente sbagliate, devono essere tollerate, per almeno due motivi:
1. Le azioni che ricadono sotto le norme del primo, secondo e terzo tipo non devono essere vietate perché la libertà è un grandissimo bene da tutelare, anche a costo di tollerare (che non vuol dire approvare) che l’uomo ne faccia, talvolta, anche un uso moralmente sbagliato.
2. Le azioni che ricadono sotto le norme del primo tipo non devono essere vietate perché l’accettazione di queste norme richiede una previa adesione alla fede;
– deve incentivare, beninteso non coercitivamente, alcune delle azioni positive del primo e del quinto tipo, cioè quelle che promuovono, mantengono o consolidano la religiosità del credente.
Ciò può sembrare in contraddizione con la laicità, ma non lo è, per due motivi:
1. La libertà è un diritto umano innato che dunque lo Stato deve non già istituire, bensì riconoscere, che esso deve non già tollerare, bensì promuovere come valore in sé, come fa per altre espressioni di libertà (culturale, di associazione politica, ecc.).
2. Lo Stato ricava un notevolissimo beneficio sociale dalle iniziative morali, caritative, solidaristiche che i credenti intraprendono sulla scorta di motivazioni religiose.
Dunque, se è vero che uno Stato sanamente laico non deve assumere alcuna connotazione religiosa, «non per questo è motivato all’indifferenza nei confronti delle realtà religiose, bensì è tenuto al riconoscimento da dare all’esercizio concreto della libertà religiosa e alle sue espressioni storiche, anche nella forma del sostegno alle opere che le tradizioni religiose compiono con vantaggio del bene comune» (Francesco Botturi, Secolarizzazione e laicità, in Donati 2008, p. 319, cfr. la bibliografia citata il mese scorso).
– deve incentivare, ma non coercitivamente, alcune azioni del sesto tipo, per il loro beneficio sociale.

Gli interventi pubblici della Chiesa
Pertanto la Chiesa deve intervenire nel dibattito pubblico:
– per approvare-promuovere le leggi coercitive che rispettano le norme morali del quarto tipo (per esempio la legge che vieta il furto e quella che vieta l’omicidio);
– per disapprovare le leggi che consentono la trasgressione delle norme del quarto tipo (per esempio la legge che consente l’aborto);
– per disapprovare le leggi che comandano azioni del primo tipo (per esempio una legge che comandi di non andare a messa), azioni del secondo tipo (una legge che comandi di suicidarsi), azioni del terzo tipo (una legge che comandi di non fare beneficenza) ed azioni del quarto tipo (una legge che comandi di uccidere certe persone, per esempio gli ebrei e i non comunisti);
– per approvare leggi-provvedimenti non coercitivi incentivanti le azioni positive del primo e del quinto tipo;
– per approvare leggi-provvedimenti non coercitivi incentivanti le azioni del sesto tipo.

giovedì 29 gennaio 2015

La laicità dello Stato
(parte 1)

di Giacomo Samek Lodovici

Giacomo Samek Lodovici ha conseguito il dottorato di ricerca ed è assegnista di ricerca presso la cattedra di Filosofia morale all'Università Cattolica di Milano. Collabora a varie riviste, scientifiche e divulgative, come "Annuario di etica", "Rivista di filosofia neoscolastica", "Il Timone", "Studi cattolici".


Il concetto di laico/laicità ha assunto molteplici accezioni, talvolta viene impiegato per dire cose opposte o quasi, talvolta viene usato come un’arma per silenziare la Chiesa ed i cattolici e per relegare la religione nel privato.
Non potendo ricostruire i vari significati che ha assunto questo termine, ci limitiamo a considerarne solo alcuni.

ORIGINE DEI TERMINI E CONCEZIONI ERRONEE

Laico come non credente
Ad esempio, molti usano il termine laico per designare il non credente.
Ma questa sinonimia tra laico e non credente stravolge la storia del significato del termine. Infatti, la sua etimologia è il termine greco laos, che vuol dire popolo: già in s. Pietro (1 Pt, 2,9), ancorché non si trovi il termine “laico” è però già presente il concetto, che designa una condizione all’interno della Chiesa, quella dell’appartenente al popolo dei battezzati e dei credenti; il termine “laico” viene impiegato poco dopo da Papa Clemente I, che lo circoscrive rispetto a s. Pietro, designando colui che fa parte del popolo dei battezzati e dei credenti, ma che non ha conseguito alcuna partecipazione all’ordine sacro e non ha emesso i voti.
Alle origini dell’era cristiana, dunque, il laico è tutt’altro che il non credente.

Laico come persona razionale
Ancora, molti stabiliscono una sinonimia tra laico – nuovamente inteso come non credente – e persona razionale, ritenendo che il credente non usi la ragione. Ma anche questa sinonimia è sbagliata, per due motivi.
1. Il credente usa la ragione anche quando fa un atto di fede, perché la fede e la ragione non sono due distinte facoltà dell’uomo. Infatti, può sembrare strano, ma anche l’atto di fede è un atto della ragione, precisamente un atto della ragione credente, è un’attività conoscitiva della ragione: in effetti, affermare «io credo a ciò che tu mi dici» vuol dire «io considero vero ciò che tu mi dici». Ora, è la ragione, in sinergia con la volontà, che considera vera (dà il suo assenso) un’affermazione. In altri termini, io compio un atto di fede quando la mia ragione considera vera una cosa che qualcuno mi ha detto: un mio amico, un libro, un giornale, la Chiesa, ecc.
Così, si può distinguere un atto di conoscenza della ragione credente ed un atto di conoscenza della ragione filosofante. Compio un atto di ragionamento filosofico quando con la mia ragione acquisisco direttamente una conoscenza senza ricorrere a qualcun altro; compio un atto di fede quando con la mia ragione acquisisco vera, quando conosco e ritengo vera un’affermazione affidandomi a qualcun altro che la pronuncia.
2. La Chiesa interviene nel dibattito pubblico non già con argomenti confessionali che scaturiscono dalla Rivelazione, bensì proprio con argomenti razionali (per esempio, la Chiesa biasima le leggi abortiste sulla base di argomentazioni razionali), che dunque si sottopongono al dibattito critico. E la Chiesa chiede anche ai credenti di intervenire a loro volta nel dibattito pubblico facendo leva non già su argomenti confessionali, bensì su argomenti razionali. Quando invece la Chiesa si esprime con argomenti confessionali lo fa rivolgendosi solo ai credenti e non chiede, né a loro né allo Stato, di adottare certe iniziative o leggi sulla base di tali argomenti.
Insomma, si può anche usare l’espressione “argomenti-ragionamenti laici” come sinonimo di “argomenti-ragionamenti razionali”, ma a patto di non attribuire simultaneamente l’irrazionalità ai credenti.

Laicità come neutralità etica dello Stato
È poi erronea la rivendicazione di una laicità dello Stato che equivalga alla sua neutralità etica, perché la neutralità morale è impossibile: già solo se lo Stato vieta il furto, la tortura e l’omicidio, lo fa sulla base di una qualche concezione etica, per la quale queste pratiche sono dei mali morali.
Qualcuno può ribattere che lo Stato le vieta perché sono dannose, non perché sono dei mali morali. Tuttavia, perché non dobbiamo danneggiare gli altri? A che titolo lo Stato ce lo impedisce? Non li dobbiamo danneggiare se e perché danneggiarli è malvagio. Infatti, ci sono diversi casi in cui gli uomini si danneggiano senza malvagità e perciò con il beneplacito della legge: se un padre punisce un figlio gli fa a volte del male fisico, ma non un male morale (purché la punizione sia giusta e proporzionata) e perciò lo Stato non glielo impedisce. E, similmente, un manager che licenzia un impiegato lo danneggia con il beneplacito della legge perché l’atto del licenziamento (se è giusto) non è un male morale.

Laicità come scetticismo/relativismo
Talvolta, ancora, per laicità qualcuno intende una posizione di scetticismo e/o relativismo (soprattutto in etica), perlomeno nella sfera pubblica: afferma cioè che la verità è inconoscibile/inesistente, con ciò cadendo nell’autocontraddizione, perché con ciò stesso egli afferma la conoscibilità ed esistenza di una verità (quella secondo cui «la verità è inconoscibile/inesistente»; il che non significa che l’uomo possa conoscere tutta la verità: può coglierne solo alcuni aspetti).

UNA CORRETTA E «SANA» LAICITÁ

Piuttosto, la Chiesa cattolica promuove oggigiorno una concezione di laicità intesa come distinzione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato.
Distinzione non significa opposizione e conflitto (come vorrebbe il laicismo), non implica il silenziamento (laicista) della religione da parte della politica: del resto, riducendo al silenzio la Chiesa si realizza una violazione del diritto alla libertà di espressione, che vale per tutti (purché non venga fatta apologia di reato) e quindi deve valere anche per la Chiesa, che deve dunque poter esprimere il suo pensiero. Tra l’altro, essa ha duemila anni di esperienza e di insegnamenti accumulati da proporre, quindi varrebbe la pena ascoltarla in modo approfondito (dubitando delle ricostruzioni giornalistiche e leggendo direttamente quanto propone).
Distinzione tra religione e politica vuol dire che:
1. i chierici non devono (salvo casi particolari) essere politici (come nelle teocrazie);
2. le norme religiose non devono tradursi in leggi dello Stato (come nelle teocrazie).
Ebbene, la laicità così intesa l’ha proposta in nuce già il vangelo: «rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc 20,25).
Norme morali, norme religiose e leggi dello Stato
Precisiamo adesso il discorso sul rapporto tra le norme morali, le norme religiose e le leggi dello Stato. A tale riguardo possiamo distinguere (almeno) sei tipi di norme morali, correlate a sei tipi di azioni.
1) Norme valide solo per i credenti, perché accessibili solo a chi ha la fede, che vietano le azioni moralmente negative solo per i credenti («non trascurare la preghiera», «non saltare la messa domenicale», «non saltare il digiuno l’ultimo venerdì di quaresima», ecc.).
2) Norme valide per chiunque, perché accessibili con il ragionamento, che vietano le azioni moralmente negative con cui il soggetto agente non danneggia il prossimo («non compiere atti di gola», «non essere pigro»,«non suicidarti»), almeno non in modo diretto (in realtà in modo indiretto qualsiasi azione incide sugli altri e quindi danneggia/favorisce il loro bene).
3) Norme valide per chiunque, perché accessibili con il ragionamento, che vietano le azioni moralmente negative con cui il soggetto danneggia il prossimo in modo lieve («non essere avaro, quantunque tu possieda legittimamente i tuoi beni», «non dire menzogne, nemmeno quelle che danneggiano poco o per nulla gli altri», ecc.).
4) Norme valide per chiunque, perché accessibili con il ragionamento, che vietano le azioni moralmente negative che danneggiano il prossimo in modo significativo («non dire menzogne che danneggiano significativamente gli altri», «non rubare», «non torturare», «non uccidere», ecc). Queste ultime norme coincidono con le norme primarie della legge naturale.