martedì 5 aprile 2016

Perché la Risurrezione di Gesù non fu un complotto degli apostoli

di Karlo Broussard, da www.catholic.com

Quando si ha a che fare con la testimonianza dei primi cristiani sulla Risurrezione di Gesù, è naturale chiedersi se sia credibile o no. Un sano scetticismo richiede che ci assicuriamo della veridicità dell’affermazione di tale evento.
Un modo per farlo consiste nell’offrire spiegazioni alternative, e una di queste è la teoria del complotto. Questa teoria si propone di spiegare il sepolcro vuoto di Cristo e le apparizioni post-mortem affermando che i primi cristiani rubarono il corpo di Cristo e si inventarono la storia della Risurrezione.
Non do la colpa nessuno per aver sollevato la domanda, perché è naturale chiedersi: “i primi cristiani si sono inventati questa storia?”.
Io ritengo che non l’abbiano inventata e ci sono almeno due buoni motivi per pensarlo.

La testimonianza degli apostoli: due alternative

Innanzitutto, i primi cristiani non avevano nulla da guadagnare e tutto da perdere dall’invenzione della Risurrezione di Gesù. Come ho appreso dal mio mentore e amico padre Robert Spitzer, questo tipo di pericolo produce il testimone più credibile, e san Paolo lo capì bene. Paolo usa questo fatto come argomento a favore della credibilità della testimonianza dei primi cristiani e presenta il suo argomento come se non ci fossero altro che due alternative. Prima lettera ai Corinzi, capitolo 15:
[14] Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. [15] Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. (1 Cor, 15:14-15)
San Paolo presenta la seconda alternativa al versetto 19 e poi la espone ai versetti 30-32:
[19] Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini… [30] E perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente? [31] Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore! [32] Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo.
Notate che nella prima parte san Paolo argomenta che se lui e i testimoni oculari credessero in Dio, allora starebbero dando una falsa testimonianza nel proclamare la Risurrezione di Gesù: «risultiamo falsi testimoni di Dio». Che avrebbero da guadagnare i primi cristiani da questa bugia se credessero ancora nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? La dannazione! È ragionevole pensare che i primi cristiani credessero che valesse la pena rischiare la loro salvezza eterna per questa menzogna?
Nella seconda parte, Paolo sembra considerare invece quello che loro avrebbero da guadagnare da questa menzogna, se non credessero in Dio o nella Risurrezione. Al versetto 19 scrive: «Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita» e al versetto 32: «Se soltanto per ragioni umane  io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe?». L’argomento di Paolo è che da questa menzogna loro non hanno guadagnato nulla, tranne che persecuzione e morte. Per Paolo, se questo è il guadagno, allora «mangiamo e beviamo, perché domani moriremo».
Potrebbero esserci altre spiegazioni alternative per la falsità della testimonianza della Risurrezione che varrebbe la pena prendere in considerazione, ma per Paolo la teoria del complotto non è una di queste.

La testimonianza delle donne

Secondo motivo per credere che i primi cristiani non hanno inventato la storia della Risurrezione: il fatto che hanno incluso le donne come primi testimoni.
Uno dei criteri che gli storici usano per testare la storicità di un fatto è il criterio dell’imbarazzo. Questo criterio si riferisce ad ogni azione o parola che i primi cristiani avrebbero potuto trovare imbarazzante e poco attraente da un punto di vista dell’apologetica. Nessun evangelista avrebbe voluto includere questo tipo di informazione, se avessero inventato questa storia, perché avrebbe minato lo scopo del Vangelo. Avere delle donne come prime testimoni della Risurrezione rientra in questo criterio.
Nel giudaismo del primo secolo, la testimonianza delle donne era inammissibile in un tribunale: “Che non sia ammessa la testimonianza delle donne, a causa della leggerezza e sfacciataggine del loro sesso” (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, 4.8.15).
Se la testimonianza di una donna non era considerata credibile in un tribunale, sembrerebbe logico ritenere che gli apostoli non avrebbero dovuto usare la testimonianza delle donne per convincere i loro interlocutori della verità del sepolcro vuoto e delle apparizioni del Cristo  risorto. È più ragionevole concludere, se gli evangelisti avessero creato questa storia a tavolino, che avrebbero scelto degli uomini come primi testimoni, come ad esempio Giuseppe di Arimatea e Nicodemo.
Lo storico e attivista ateo Richard Carrier, nel capitolo 11 del suo libro Not the Impossible Faith, fa un’obiezione a questo argomento. Dice che, dal momento che i Vangeli sono storia e non documenti del tribunale, è errato che un apologeta cristiano vada dal “decoro del tribunale alla credibilità di tutti i giorni”.
Inoltre, afferma, mentre la testimonianza delle donne non veniva accettata in tribunale, era ammissibile come fonte di affermazioni storiche. Carrier si riferisce alla narrazione di Giuseppe Flavio del massacri di Gamala e Masada, che hanno entrambi delle donne come loro fonti storiche.
In risposta alla prima obiezione di Carrier, credo sia legittimo che un apologeta cristiano usi l’inammissibilità della testimonianza delle donne in un tribunale, perché gli evangelisti stavano cercando di convincere i loro interlocutori alla verità della Risurrezione. Non stavano semplicemente raccontando un fatto storico ma stavano presentando una convergenza di prove per dimostrare la verità della Risurrezione di Gesù: sepolcro vuoto, diverse apparizioni dopo la morte, conversioni, etc.
Inoltre, notate il motivo che dà Giuseppe Flavio per non ammettere la testimonianza delle donne: “a causa della leggerezza e sfacciataggine del loro sesso”. La parola leggerezza indica il trattare un fatto serio con irriverenza o in un modo tale da mancare di rispetto. Forse questa visione delle donne potrebbe condurre non a un rifiuto totale della loro testimonianza, ma certamente la renderebbe meno desiderabile se qualcuno stesse inventano una storia, specialmente quando sarebbe così facile usare degli uomini come primi testimoni.
Neanche il secondo argomento di Carrier è sufficiente. Per quanto riguarda il massacro a Gamala, Giuseppe Flavio afferma che le due donne che servirono come testimoni furono le sole che fuggirono (Guerra Giudaica, 4.82). Anche se non esplicitamente, anche nel racconto del massacro di Masada, Giuseppe sembra affermare che le due donne che furono testimoni dell’evento furono le uniche sopravvissute (Guerra Giudaica, 7.399). È quindi ovvio che Giuseppe Flavio utilizzi la testimonianza delle donne per questi eventi, dal momento che non era sopravvissuto nessun’altro.
Detto questo, è facile vedere perché l’argomento di Carrier sul fatto che Giuseppe Flavio fece affidamento sulla testimonianza di queste donne, non mina l’argomento cristiano. Gli evangelisti avevano altre opzioni quando si trattava di decidere chi dovevano essere i testimoni della Risurrezione di Cristo, ma Giuseppe Flavio non avevano altre opzioni nella scelta dei testimoni per il racconto dei massacri.
L’inaffidabilità della testimonianza delle donne nel giudaismo del primo secolo può ancora essere considerato come un criterio legittimo di imbarazzo e può quindi essere usato dagli apologeti cristiani quando si parla della storicità della Risurrezione di Gesù.
Ci sono molti altri motivi utili a dimostrare l’irragionevolezza della teoria del complotto. Ma credo che i due qui presentati siano sufficienti: innanzitutto, la gente non muore per ciò che sa essere una menzogna; e i bugiardi non usano testimoni inaffidabili per convincere della loro storia inventata.