di Francesco Del Giudice
Negli scorsi articoli di questa rubrica
Quid est veritas abbiamo cercato di
analizzare e spiegare l’atteggiamento ed il comportamento dei primi filosofi
nei confronti della realtà: questa breve analisi ci ha fatto scoprire termini
quali astrazione, meraviglia, metafisica, principio di non
contraddizione ma, soprattutto, il fatto che la ricerca filosofica possa
avvenire solo e solamente per mezzo del corretto uso della ragione. Questa infatti è la principale novità che la (corretta)
filosofia ci offre ancora oggi: ci pensiamo mai? E se lo facciamo, riflettiamo
attentamente su ciò che significa?
Pensiamo solamente alle espressioni di
uso frequente che sentiamo ed utilizziamo tutti i giorni: uomini di ragione, secondo
ragione, le ragioni di quella scelta,
la ragione ultima di quella cosa,
etc: riflettiamo mai abbastanza sul fatto che usiamo una terminologia
profondamente filosofica che travalica cioè l’immediatezza dei nostri sensi e
ci proietta invece in un mondo (come abbiamo ben visto negli articoli
precedenti) di una profondità abissale se paragonato al nostro vivere
quotidiano?
La ragione
è qualcosa di profondamente diverso da tutte le categorie usate prima della
nascita della filosofia: il termine infatti, come riporta correttamente il
Vocabolario Treccani[1],
deriva dalla traduzione latina (ratio) del vocabolo lògos che nella lingua greca indica un qualcosa di profondamente ordinato. Dobbiamo capire bene cosa
stiamo dicendo perché questi termini sono fondamentali per poter comprendere appieno
il linguaggio filosofico. Com’è noto, infatti, il greco antico presenta una
varietà smisurata di sinonimi e di sfumature per ogni sua singola parola (cosa
invece quasi del tutto sconosciuta al latino) per cui è difficile da
comprendere appieno il significato profondo di una parola. Lògos, da questo punto di vista, ad esempio, ha un duplice
significato: significa sia discorso
ma significa anche ragione, intendendo
questo secondo termine come la facoltà di
pensare mettendo in giusta relazione le cose tra di loro. La profondità del
termine, tuttavia, non è ancora bene chiara in quanto lògos, oltre ad indicare ordine,
è usato anche come sapienza e fondamento: da questo punto di vista,
potremmo anche tradurre lògos con cardine, vale a dire un qualcosa di fondamentale per il giusto ordine
di un determinato oggetto. Questo concetto in grammatica è espresso con il
vocabolo verbo[2].
E’ chiaro pertanto che ragione è un vero e proprio termine
polisemantico ma che riguarda sempre le categorie di giustezza, accuratezza e
precisione: ecco perché anche nel
linguaggio comune utilizziamo ancora oggi le espressioni che abbiamo citato
sopra che rimandano ad un’ideale di perfezione o di correttezza. E’ altrettanto
chiaro, pertanto, che un sistema filosofico degno di questo nome debba essere
rispettoso e ossequiente al corretto uso
della ragione altrimenti avremmo un sistema filosofico (che intende
pertanto spiegare la realtà per quel che
è) non ordinato e quindi senza verità.
Anche in questo caso conviene
riflettere bene su quello che stiamo dicendo perché oggigiorno siamo abituati
invece a sentire l’elogio di filosofie senza verità (il cosiddetto nichilismo), oppure di filosofie irrazionalistiche, ma anche di filosofie
relativistiche (vale a dire
portatrici di molteplici verità che si annientano tra di loro): tutte queste
filosofie, apparentemente, hanno un loro ordine ma partono sempre e solo da un
punto di vista errato, vale a dire il fatto che l’uomo non è capace di trovare la
verità nelle cose. In pratica, questi sistemi filosofici sono contraddittori
nella loro stessa natura: vogliono insegnare qualcosa che poi o non esiste o è
inutile conoscere: ma che senso ha perseguire un ideale pur sapendo che è
inservibile o superfluo? Facciamo un esempio pratico: tutti sappiamo che
l’arsenico, se assunto in dosi eccessive, è dannoso per il nostro organismo (è,
cioè, un veleno). Ci troviamo dinanzi ad una verità che tutti noi accettiamo
senza neanche pensarci più di tanto. Ma poniamo il caso che domani un solo
scienziato sentenziasse che l’arsenico invece fa bene all’organismo, e che la
definizione di veleno è soggetta a
dispute lessicali che dipendono dal periodo storico in cui vengono definite:
assumereste senza farvi nemmeno una domanda una dose massiccia di quel veleno
andando contro ciò che la vostra coscienza vi dice? Con le filosofie
contemporanee avviene, mutatis mutandis,
esattamente la stessa cosa: il mondo contemporaneo infatti ha scelto di non
seguire né perseguire la ricerca della verità (che, come abbiamo visto, è la
radice ultima della filosofia) accontentandosi invece di dichiarare che se
esiste, la verità è debole oppure multipla. Questa è infatti il fondamento
della cultura nella quale, volenti o nolenti, tutti quanti siamo immersi: non
per nulla la nostra epoca è stata definita come post modernità, volendo
significare che non solo non si ricerca più la verità forte ancorata in Dio (filosofia dell’età medievale) ma
neanche più una verità forte radicata
nell’uomo (filosofie razionaliste o atee, il cui esempio massimo è stato il
marxismo).
La post-modernità
rifiuta categoricamente ogni tipo di verità cosicché dovrebbe essere ancora più
chiaro il titolo della nostra rubrica ed il nostro primo articolo: con tutti
noi stessi, cioè, cerchiamo di applicare
correttamente la ragione, elogiandola ed esaltandola all’interno dei limiti
che la realtà gli impone, alla ricerca della verità profonda delle cose per
poter rispondere alle domande profonde dell’uomo.
Ma se cerchiamo la verità secondo ragione, sappiamo che essa sarà ordinata, logica,
puntuale e soprattutto stabile e unica (le massime verità negate
oggigiorno). Il problema del Lògos è
antico quanto tutta la filosofia: non è forse Parmenide tra i primi a parlarci
di due (apparenti) verità che si contrappongo tra di loro (la Doxa e il Lògos)? E Parmenide non afferma già (con tutti i limiti che la
formulazione parmenidea ha avuto e continua a proporre ancora oggigiorno) che
il corretto uso della ragione condurrà il filosofo alla scoperta dell’unica
verità? E che l’uomo è fatto per la verità lo abbiamo già visto negli articoli
precedenti. Parlando oggi di ragione, tuttavia, è doveroso riportare la
definizione che Severino Boezio ha dato per definire la persona come «rationalis naturae
individua sub stantia», vale a dire «una
sostanza individuale di natura razionale»[3]:
l’uomo cioè è portato per la sua stessa natura a ricercare la verità, e sempre
in maniera razionale poiché applica in questo la sua stessa natura profonda[4].
Più assoluti, nessun assoluto: come
abbiamo visto negli articoli precedenti, tertium
non datur. E questo lo capisce chiunque, senza grossi sforzi: il difficile
tuttavia è sopravvivere alle dilaganti filosofie post-moderne che invece da
diversi decenni ci dicono il contrario.
Nelle prossime puntate di questa
Rubrica vedremo più nel dettaglio alcuni di questi sistemi filosofici, ma prima
è ancora necessario entrare maggiormente in possesso del corretto lessico
filosofico. Dal momento che l’anno sta per finire, infatti, vi diamo
appuntamento alle prossime puntate in cui tratteremo (pur nella brevità propria
della rubrica di un blog) di uno dei temi che più hanno appassionato gli
spiriti filosofici più importanti di tutta la storia: che cos’è il tempo?
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