martedì 22 marzo 2016

La società può determinare ciò che è giusto e sbagliato?


Recentemente, una persona con cui mi scrivo ha affermato che gli scettici sono liberi di sostenere che la morale oggettiva deriva dalla società in cui viviamo. Secondo questa visione, ha affermato, i principi morali esistono al di là dell’individuo e dunque sono oggettivi.

Questa persona è in buona compagnia con Richard Dawkins. Alla domanda “come possiamo decidere ciò che è giusto e sbagliato?” il professor Dawkins risponde che “c’è un consenso riguardo ciò che di fatto consideriamo giusto e sbagliato: un consenso che prevale in maniera sorprendentemente ampia” (L’illusione di Dio, 298).

Ma una tale morale non è oggettiva nel verso senso del termine, perché i principi morali sono relativi all’accettazione culturale. Come dice il filosofo americano Louis Poajman: “Non ci sono principi morali oggettivi, ma piuttosto tutti i principi morali validi vengono giustificati in virtù della loro accettazione culturale” (Ethics: Discovering Right and Wrong, 23).

Francis Beckwith e Gregory Koukl, nel loro libro Relativism: Feet Firmly Planted in Mid-Air (Relativismo: piedi fermamente piantati a mezz’aria), chiamano questa visione “Society Says Relativism” (il relativismo di ciò che dice la società, relativismo sociale).

Questo metodo di determinazione della morale è ragionevole? Possiamo fondare la morale su quello che la società dice? Beckwith e Koukl mostrano cinque ragioni per cui la risposta a questa domanda è no.

1.    Impossibile criticare i costumi di un’altra società
Se è la società a determinare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, allora sarebbe impossibile criticare le norme di un’altra società, per quanto possano essere strane. Non potrebbe esserci nessuno standard morale, al di fuori delle leggi della società, con cui confrontare i costumi di una società. Di conseguenza, non sarebbe possibile fare alcun giudizio su quella società. Secondo questa visione, non potremmo giudicare errati i comportamenti della Germania nazista. Ma questo è assurdo. Dobbiamo essere in grado di giudicare alcuni comportamenti sociali come sbagliati. Dunque, la società non può essere l’arbitro finale di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

2.    È impossibile avere una legge morale
Se il relativismo sociale fosse vero, allora le discussioni su leggi immorali non avrebbero alcun senso. Sotto una tale visione, la società è la misura della moralità, e dunque ogni legge è morale semplicemente perché è legge. Dal momento che non c’è misura di moralità al di fuori della società, non c’è alcun modo per giudicare le sue leggi come morali o immorali. Ma sappiamo che le società hanno istituito leggi immorali. È sufficiente ricordare le leggi di segregazione razziale degli Stati Uniti. Dunque, dobbiamo concludere che esiste una norma al di fuori della società che determina ciò che è giusto e sbagliato.

3.    I riformatori morali sarebbero criminali
Se fosse vero che la società è la misura della morale, allora chiunque provi a modificare le leggi della società sarebbe ritenuto immorale. Come potrebbe un riformatore sociale essere morale se lui o lei agisce contro la visione morale della società? La riposta è che non può! Secondo questa visione, Martin Luther King Jr. dovrebbe essere considerato un criminale, dal momento che ha combattuto contro ciò che la società considerava norma morale. Ma nessuna persona ragionevole giungerebbe a quella conclusione. Dunque, uno standard morale al di fuori della società deve esistere.

4.    Il concetto di progresso morale di una società è incoerente
Se giusto e sbagliato sono determinati da ciò che dice la società, allora è impossibile che la società progredisca nella sfera morale. Per ottenere un progresso morale, una società deve prima aver sbagliato e poi cambiare in meglio. Ma nel relativismo sociale, una società non può mai sbagliare, dal momento che è essa stessa la misura della morale. Qualunque cosa dica, è morale. Dunque, il progresso morale sociale è impossibile. Ma sappiamo che il progresso morale sociale è possibile. Tutti comprendono che la nostra società ha ottenuto un progresso morale eliminando le leggi di segregazione razziale. Dunque, deve esistere un qualche standard di morale al di fuori della società.

5.    Riduce la morale alla legge del più forte
Se la morale è determinata dalla società, allora si riduce alla legge del più forte. Considera il fatto che le leggi sono fatte da coloro che hanno più potere – che sia il potere del governo o della maggioranza. Quindi, se il relativismo sociale è vero, allora quelli col potere maggiore determineranno sempre la moralità degli atti. Ma questa è la stessa mentalità delle forme tiranniche di governo che ogni persona razionale rifiuta. Dunque, deve esistere uno standard morale che esista al di fuori dei più potenti governi e società umane.

Quindi, su che fondare questo standard? Una opzione potrebbe essere sui giudizi dell’individuo; ma questa ipotesi è soggetta a molte delle stesse critiche qui menzionate, più diverse altre – critiche che saranno conservate per un’altra discussione. Senza entrare troppo nel dettaglio, la norma morale deve fondarsi in ciò che è comune ad ogni essere umano: ovvero, la natura umana.

Quando ragioniamo su quale sia il comportamento umano appropriato, dobbiamo chiederci “cos’è bene per l’uomo?”. La risposta a quella domanda si trova nella natura umana. La natura umana è intrinsecamente diretta verso certi fini o obiettivi e il raggiungimento di quegli obiettivi è ciò che costituisce la felicità dell’uomo (tali fini sono, ad esempio, l’autoconservazione, la conoscenza della verità, la propagazione ed educazione della specie, l’esistenza sociale…). Dunque, un comportamento umano corretto – che è buono per l’uomo in quanto tale – è un comportamento che aiuta la natura umana a raggiungere quei fini.

È questo lo standard della natura umana dalla quale bisogna derivare la morale, affinché sia razionale e veramente oggettiva.

Certamente, affinché una legge di questo tipo sia obbligatoria, deve esistere un essere trascendente da cui la natura umana derivi la sua dignità, cioè Dio. Ma questa è un’altra storia!

di Karlo Broussard
da www.catholic.com 

giovedì 17 marzo 2016

Purezza e Virilità

Come Diventare l'Uomo che Dio Vuole che Tu Sia

I ragazzi meritano risposte dirette alle domande difficili sulle donne, gli appuntamenti, la sessualità e l'autentica virilità...
  • Cosa vogliono le ragazze?
  • Fin dove si può arrivare?
  • Che c'è di male a pensarci su?
  • Qual è il problema della pornografia? Non fai male a nessuno.
  • E se è solo una rivista di costumi da bagno?
  • Se lei è decisa a farlo, perché dovrebbe essere sbagliato?
  • Per quanto riguarda il sesso sicuro?
  • Non dovrei essere libero di fare quello che voglio?
  • Come restare puro?
Purezza e Virilità risponde a queste e ad altre domande, e allo stesso tempo offre strategie pratiche per aiutare i giovani a crescere nella virtù della castità.

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Purezza e Femminilità

Nel mondo di oggi, è fin troppo facile per una ragazza mentire a se stessa con delle bugie sull'amore

Cosa dice a se stessa?
  • I ragazzi non vogliono la ragazza pura.
  • Nessuno si sta facendo del male.
  • È solo un gioco.
  • Mio il corpo, mia la scelta.
  • Se dicessi di no, lo potrei perdere.
  • Non posso stare da sola.
  • È troppo tardi per me.
  • Quale bravo ragazzo mi vorrebbe
  • È impossibile restare puri.
Tutte le donne desiderano l'amore, ma molte di loro si sono arrese. In Purezza e Femminilità, Crystalina Evert ridona speranza alle donne. Grazie alla sua potente testimonianza e alle sue schiette parole di saggezza, mostra che l'amore vero è possibile a prescindere dal passato.

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mercoledì 9 marzo 2016

Scetticismo universale: una critica...scettica

da www.catholic.com

Più o meno un anno fa, dopo aver fatto una conferenza su Dio e la scienza, un signore mi espresse un suo dubbio sul principio di non-contraddizione.
Il principio di non-contraddizione è un primo principio evidente di ragione su cui si fonda tutta la conoscenza. Afferma che qualcosa non può essere e non-essere allo stesso tempo e nello stesso luogo. Aristotele definì questo principio come “il più sicuro di tutti i principi” (Metafisica IV.3).
Il dubbio di questo signore è un esempio di una forma radicale di scetticismo che tende a dubitare di ogni cosa, persino dei principi primi di conoscenza – è detto scetticismo universale. C’è un modo per rifiutare questo scetticismo radicale? Eccone diversi.

Incoerenza autoreferenziale

Prima di tutto, l’affermazione “dubito di ogni cosa” è una incoerenza autoreferenziale: cioè si confuta da sola. Se uno scettico dubita di tutto, allora deve dubitare anche dell’affermazione “dubito di tutto”, il che è equivalente a dire, “dubito di dubitare di tutto”. E questo è assurdo. Se uno scettico dubita della propria affermazione “dubito di tutto”, allora perché ha persino proposto questo argomento?
Se lo scettico risponde che lui è certo di dubitare di ogni cosa, allora ci sarebbe una cosa di cui non dubita – e cioè, del fatto che dubita di tutto. Di conseguenza, non sarebbe vero che dubita di tutto.
Forse lo scettico potrebbe rifarsi alla sua posizione iniziale e rifiutarsi di dichiarare definitivamente il suo scetticismo universale. Oltre ad avere a che fare col dilemma di essere scettico riguardo il suo scetticismo, non può evitare di essere certo di qualcosa – cioè, “non dovrei affermare il mio scetticismo universale”.

 

Nessun argomento è permesso

Secondo, se uno scettico prova a giustificare la sua affermazione con degli argomenti, allora tutti i fatti e principi che costituiscono le sue prove verrebbero in tal modo dichiarati invalidi, dal momento che implicano delle certezze umane. Non conta il modo in cui uno scettico si approccia alla sua affermazione, che ne dubiti o la affermi, finisce in un’auto-contraddizione.

 

L’assurdità del negare i principi primi di conoscenza

Un terzo modo per confutare lo scetticismo radicale è di mostrare l’assurdità del negare i principi primi della conoscenza. Se uno scettico dubita di ogni cosa, allora necessariamente dubita anche dei principi primi della conoscenza, come il principio di non-contraddizione. Così facendo, uno scettico nega alla conoscenza ogni sorta di fondamento. Ma questo non funziona.
Immagina di provare a ottenere una conoscenza senza un principio che non richieda ulteriore dimostrazione, ovvero un principio evidente. Ogni conclusione proposta richiederebbe una infinita serie di dimostrazioni del perché quella motivazione è vera. Ad esempio, l’affermazione di uno scettico “non ci sono principi primi evidenti di conoscenza” è vera solo se A è vero. Ma A è vero solo se B è vero e B lo è solo se C è vero, all’infinito.
Nota che la ricerca di una vera premessa sulla quale poggiare la conclusione, non giungerebbe mai ad una fine. Non importa dove ci si ferma nella serie di motivazioni, si avrebbe sempre una motivazione che non può essere dimostrata perché si poggia su un numero infinito di altre motivazioni che non possiamo sapere se sono vere.
Ma se non possiamo giungere ad affermare che sia vera alcuna motivazione dalla quale dipende la conclusione, allora non possiamo affermare che sia vera neanche la conclusione “Non ci sono principi evidenti di conoscenza”. Questo è qualcosa che lo scettico non vuole concludere, perché minerebbe il suo scetticismo sui principi primi. Dunque, uno scettico non può negare la necessità della conoscenza di avere come fondamento i principi primi, senza minare il proprio scetticismo.

 

Difesa del principio di non-contraddizione

Quarto, possiamo mostrare l’assurdità della negazione dello stesso principio di non-contraddizione. Uno scettico non può negare il principio di non-contraddizione senza che il suo discorso lo tradisca immediatamente. Può parlare contro il principio solo se le sue parole hanno il significato inteso e non il significato opposto. Ad esempio, se lo scettico dice, “Il principio di non-contraddizione è falso”, lui deve intendere questa affermazione nel suo significato reale e non nel suo significato opposto, cioè “Il principio di non-contraddizione è vero”.
Se uno scettico afferma l’opposto - “Il principio di non-contraddizione è vero” - allora affermerebbe ciò che ha deciso di negare. Ma se uno scettico ha intenzione di voler dire ciò che la sua affermazione iniziale esprime, allora sta presupponendo il principio di non-contraddizione e dunque, ancora una volta, mina il suo iniziale tentativo di negare il principio.
Quindi, la negazione del principio di non-contraddizione, finisce per auto-confutarsi.
Forse uno scettico potrebbe decidere di non parlare. Lo salverebbe dal suo dilemma? La risposta è no, perché persino comprendere ciò che è indicato dal principio presuppone la sua verità. Il contenuto conoscitivo deve avere il significato inteso e non l’opposto.

 

Il dubbio presuppone certezze

Un ultimo modo per confutare lo scetticismo radicale viene dal sacerdote gesuita, T.V. Fleming. Nel suo libro Fondamenti di Filosofia, argomenta che ci sono alcune certezze presupposte nell’affermazione “dubito di ogni cosa”. Considera che, per fare questa affermazione, uno scettico deve sapere ciò che è il dubbio. Inoltre, la sua affermazione implica che lui sappia che il dubbio differisca dalla conoscenza, il che necessariamente implica che lui sappia cosa sia la conoscenza. In base a quanto è stato detto precedentemente riguardo il principio di non-contraddizione, uno scettico deve anche sapere il significato della proposizione di cui vuole dubitare e la ragione del suo dubbio.
Inoltre, se uno scettico sospende il giudizio su una affermazione, deve riconoscere che le motivazioni date a sostegno di quell’affermazione sono insufficienti per giustificarla. Quindi deve conoscere anche le motivazioni date.
Le certezze presupposte non finiscono qui. Quando uno scettico continua a fidarsi dello scetticismo, lo fa per non cadere in errore. Ma ciò presuppone la conoscenza di cosa sia l’errore. Presuppone inoltre un desiderio per la verità, che suppone almeno una tacita certezza che la verità esista.
Insomma uno scettico semplicemente non può dubitare di ogni cosa, è impossibile. L’affermazione stessa implica delle certezze presupposte e la negazione di principi primi evidenti, come il principio di non-contraddizione, non è possibile dal momento che, mentre lo nega, il principio viene affermato. Dunque, lo scetticismo universale, è fallito. Abbiamo una giustificazione razionale per essere scettici nei riguardi dello scetticismo.

sabato 5 marzo 2016

Le immagini che stanno cambiando il dibattito sull’aborto


Il sito www.liveactionnews.org è gestito dall’associazione Live Action, in prima linea nella lotta contro l’aborto negli Stati Uniti. Fondata da Lila Rose nel 2003, quando aveva solo 15 anni, Live Action è ormai il terrore di Planned Parenthood, la più grande organizzazione abortista degli USA. I molti video diffusi da Live Action hanno svelato gli orrori che si celano dietro il colosso abortista: dalla vendita di organi di feti abortiti, alla copertura di violenze sessuali. Recentemente è stata diffusa una serie di quattro video, in collaborazione con il Dr Anthony Levatino, ginecologo ex-abortista, per spiegare in dettaglio le procedure che vengono seguite durante i vari tipi di aborto. I video hanno subito registrato centinaia di migliaia di visualizzazioni e stanno contribuendo a cambiare in maniera significativa il dibattito sull’aborto.

In aggiunta a questi video, Live Action raccoglie foto di feti che sono stati abortiti spontaneamente e che svelano la natura pienamente umana del bambino non ancora nato. Sebbene la scienza ormai non abbia più dubbi nello stabilire l’inizio della vita umana al momento del concepimento, queste immagini rafforzano tale convinzione e stanno facendo cambiare idea a tanti pro-choice in tutto il mondo. Eccone alcune, con le loro storie commoventi.

Feti di 7 e 8 settimane

http://liveactionnews.org/mom-posts-amazing-photos-of-her-7-and-8-week-old-miscarried-babies-on-facebook/

Mindy Raelynne Danison è una mamma che ha sofferto per due aborti spontanei: uno a 7 settimane di gravidanza e un altro a 8 settimane e 5 giorni. Mindy ha deciso di creare un album di foto su facebook in cui ha pubblicato le foto dei suoi bambini (cliccando sulle foto nell’articolo originale, è possibile sfogliare tutto l’album).  A 7 o 8 settimane, i bambini possono toccarsi la faccia e i piedi, possono strizzare l’occhio e girarsi.
Feto 7 Settimane

Feto 8 Settiamane

Noah, 12 settimane

http://liveactionnews.org/miscarried-at-12-weeks-baby-noah-is-changing-minds-about-abortion/
Lara Price ha deciso di rendere pubbliche le immagini di suo figlio, Noah, per dimostrare l’ovvia umanità del bambino non ancora nato nel grembo della mamma e la brutalità dell’aborto. L’immagine mostra con grande precisione le dita dei mani e dei piedi.
Noah, 13 Settimane, 8.89 cm

Walter, 19 settimane

Guardando le immagini del piccolo Walter, a sole 19 settimane, nelle mani della mamma, del papà e delle sue sorelle, molte donne hanno deciso di non abortire e portare avanti la loro gravidanza, come riportato nell’articolo su Live Action news.


Walter, 19 Settimane

Walter in braccio al papà

Chase e Cooper, gemelli di 22 settimane

http://liveactionnews.org/miscarried-22-weeks-identical-twins-sharing-truth-abortion/
Ed ecco infine le incredibili foto di due gemelli di 22 settimane, Chase e Cooper, vissuti solo per mezz’ora dopo essere nati. Per un problema alla cervice, la mamma Heather Ellis, dopo aver rifiutato l’aborto che le era stato prontamente proposto, decide di sottoporsi ad un’operazione chirurgica. Il problema però non viene risolto e i due bambini nascono a 22 settimane e, dopo 30 minuti trascorsi tra le braccia dei genitori e del fratello, muoiono.
Chase e Cooper, 22 settimane, in braccio alla mamma
Feto di 22 settimane

In conclusione, forse vale la pena ricordare che in Italia l’aborto è legale praticamente per qualunque motivo per le prime 12 settimane, ma anche nel secondo trimestre in caso di malformazione del bambino o di serio pericolo psico-fisico per la salute della donna. Speriamo che anche in Italia queste foto possano avere grande risonanza e aiutare le mamme a decidere sempre per la vita e mai per la morte.