70 Anni e
non sentirli: buon compleanno a Peppone e Don Camillo!
Riprende oggi la pubblicazione degli articoli di storia
all’interno della Rubrica Lux Veritatis dopo alcuni giorni di vacanze. Lo
facciamo con un articolo dedicato ad un anniversario passato un po’ in secondo
piano ma che a nostro giudizio meriterebbe di essere approfondito maggiormente.
Quello che vi proponiamo vuole essere un invito alla lettura dei racconti del Mondo
piccolo di Giovannino Guareschi tra cui spiccano, ovviamente, quelli di Peppone
e Don Camillo.
Con un un mio amico, la sera del 29 Dicembre 2016, si parlava dell’imminente messa in scena della Favola di Natale di Giovannino Guareschi (il papà di Peppone e Don Camillo, per intenderci) che con diversi amici avremmo rappresentato il 6/01/2017 a Segni. Ad un certo punto questo amico mi ha chiesto: «Levami una curiosità: mentre cenavo, hanno parlato al TG di un anniversario di Guareschi… ma non ho seguito bene… tanto poi l’avrei chiesto a te: ne sai qualcosa?». Sono caduto dalle nuvole perché non mi veniva in mente nulla: se anche ci fosse stato qualche anniversario, io per primo non ci stavo minimamente pensando. Non che sia un esperto di Guareschi, ma si tratta sempre di un autore che leggo volentieri e consiglio sempre. Mi sono messo a fare una semplicissima ricerca e, meraviglia!, ho scoperto che il mio amico aveva ragione da vendere: si trattava del 70simo compleanno di Peppone e Don Camillo, nati esattamente l’antivigilia di Natale del 1946 dalla penna di Guareschi. Chiedendo perdono sia al mio amico che al buon Giovannino, da quel giorno mi sono riproposto di far conoscere ai lettori di questo blog questo grande quanto dimenticato (in primis dal sottoscritto) anniversario.
Qualcuno
potrebbe dire: cosa c’entra Guareschi con la storia? E che senso ha parlare di
figure letterarie come di personaggi realmente vissuti? Questa domanda, poiché
legittima ed interessante, merita una risposta immediata: non solo le avventure
di Peppone e Don Camillo sono ambientate in un determinato periodo storico
(incarnando tutte le tipologie di persone del loro Mondo piccolo che cronologicamente si estende dal 1946 al 1966) ma
ci permettono di poter dialogare, approfondire e meditare tematiche di largo
respiro che hanno sempre il loro fondamento nella storia e nella filosofia. E’
lecito infatti secondo me parlare di storia come anche di filosofia citando
Guareschi ma ancor più citando Peppone e Don Camillo. A mio parere, anzi,
Guareschi si comporta come un vero storico ed un vero filosofo (analizzando
cioè ciò che succede dinanzi ai suoi occhi cercandone i nessi, le cause e le
motivazioni profonde) sebbene lo faccia nella maniera a lui solita, cioè il
racconto: secondo me, Giovannino potrebbe entrare nei manuali di filosofia ma
anche in quelli di storia (oltre a quelli di letteratura, ovviamente) anche più
legittimamente rispetto ad altri personaggi ed autori. Come ho spesso detto a
diverse persone, non solo reputo Guareschi rappresentante di un pensiero comune (cioè realista) ma andrebbe fatto leggere e
meditare, in maniera obbligatoria e continuativa, nelle scuole ma soprattutto
nei seminari.
A Guareschi in
generale, ed al Mondo piccolo in
particolare, io infatti riconosco (e dunque gli attribuisco) il carattere di classico, vale a dire di un’opera che ha più cose da dire ai
posteri rispetto alle già infinite che ne poteva dire ai suoi contemporanei[1]. Un classico che non insegni nulla di
diverso da ciò che è scritto non può essere degno di questo nome: al massimo è
un mero libro, cioè un’opera scritta
in epoche più o meno antiche. Ma di opere di questo genere, di cui apprezziamo
magari lo stile, la forma letteraria, finanche l’intreccio, non so cosa
farmene. Un classico parla alle corde profonde della coscienza del lettore, un
libro lo appassiona semplicemente alla lettura. Un classico fa pensare (magari
in maniera anche divertente come fa Giovannino), un libro fa solo passare tempo
al lettore[2]: non per nulla
a Clive Staples Lewis è attribuito il seguente aforisma: «un libro non merita di essere letto a dieci anni se non merita di essere
riletto a settanta».
Peppone e Don
Camillo, come anche tutto il Mondo piccolo,
ci riportano infatti sia tutti i caratteri dell’animo umano ma ci permettono di
immergerci in questioni di capitale importanza per la vita di ogni uomo: fermo
restando alcune inevitabili caratteristiche proprie di Guareschi, contingenti
al periodo in cui scriveva e ad alcune sue idee di portata particolare, il Mondo piccolo potrebbe essere la
cartolina di ciascuno dei nostri paesi, delle nostre famiglie, delle nostre
comunità religiose. Nel Mondo piccolo
è tale infatti perché riesce a racchiudere in sé ogni aspetto tipicamente umano
sia nella parte positiva che nella parte negativa: vizi e virtù, destra e
sinistra, amore ed odio, sacrilegio e devozione, fede e scetticismo, lavoro e
festa, pianto e riso, vita e morte, perdono e vendetta. E questo elenco
potrebbe continuare pressoché all’infinito. Difficilmente potremmo trovare in qualche
altra raccolta di racconti brevi (perché tale è il Mondo piccolo) un ritratto dell’uomo così completo e così veritiero
come quello tratteggiato dalla penna di Guareschi. Ma c’è sempre un
protagonista più importante degli altri, benché a volte non appare nemmeno:
sopra ogni cosa c’è infatti Dio che quando parla interviene per mezzo di Suo
Figlio, vale a dire il Cristo Crocifisso[3]. Il Mondo piccolo infatti sottostà alle
leggi ed alle evidenze di ragione: ogni volta è presente sempre una gerarchia cui
ovviamente spetta la primazia al Creatore del mondo, benché non tutti i
personaggi dei racconti accettino o trattino bene il Padreterno il quale però
ha un grande amore nei confronti dei suoi figli ed è per questo che mostra di
continuo la sua misericordia ma anche, se necessario, la sua giustizia.
Nei primi
racconti di Don Camillo e di Peppone noi abbiamo uno spaccato della vita
contadina e mano a mano che gli anni avanzano sembra quasi che le macchine
stiano prendendo il sopravvento: potrebbe sembrarci un racconto da consegnare
alla storia ma invece non è così perché i nostri personaggi, pur nella loro
profonda diversità, entrambi ci trasmettono delle verità perenni dal momento
che affondano le loro radici nelle corde profonde del cuore dell’uomo. Don
Camillo ovviamente parte sempre da una visione del mondo cristiana e quando non
lo fa, il Cristo dell’Altare Maggiore (ed a volte, addirittura!, lo stesso
Peppone) lo riporta su questa strada in maniera anche brusca, ma sempre
necessaria. Peppone, invece, quando non ragiona dal punto di vista prettamente
marxista (come ebbe a dire Guareschi, gettando
il cervello all’ammasso in favore, cioè, del punto di vista del Partito
Comunista che, come è noto, non può
sbagliare) ragiona invece da umile e forte (se non rude) uomo della
campagna che guarda al progresso come un qualcosa di positivo ma da cui bisogna
non farsi prendere troppo la mano. Partendo da queste due premesse, non uguali
ma complementari tra di loro, sia Peppone che Don Camillo riescono ad uscire
indenni dalla guerra, dai furori delle ideologie, dalle novità e le rivolte
degli anni ’60 ma che, se continuassero ad esistere, potrebbero ancora dire
tanto al nostro mondo in perenne cambiamento.
Dobbiamo fare
attenzione, tuttavia, a non confondere i ruoli e i punti di vista dei
personaggi del Mondo piccolo (cosa
che, invece, sembra talvolta accadere nella trasposizione filmica di alcuni
racconti) in quanto sono legati tra loro non solo gerarchicamente ma anche
qualitativamente: Peppone è e sempre rimarrà comunista, benché il suo animo più
profondo lo riporterà spesso e volentieri all’uso corretto della ragione (non
alimentato, cioè, da faziosità partitiche ed ideologie) e don Camillo, per
quanti difetti possa avere, e per quanti errori possa fare, sarà sempre e solo
l’obbediente pastore di un gregge che il buon Dio (che, ricordiamo, parla per
mezzo di Suo Figlio, il Verbo Incarnato) gli ha affidato. In effetti una delle
perle del Mondo piccolo sta proprio
nel trovare, come accade a noi ogni giorno d’altro canto, dei piccoli difetti
nelle persone che non stonano tuttavia con la persona: se Guareschi avesse
descritto i suoi personaggi o pieni di tormenti (espressione tipica ad esempio
dei libri gialli contemporanei) oppure dei personaggi perfetti (a tal punto da
sembrare finti) non avrebbe avuto né il successo che ha avuto né avrebbe
meritato quel carattere di classico di cui parlavamo prima. Pensiamoci bene:
noi siamo perfetti? E le persone accanto a noi lo sono? Non sarebbe un atto di
superbia grandissimo il vantarsi di una cosa simile? E, d’altronde, non siamo i
primi a vedere la pagliuzza negli occhi del vicino senza considerare la trave
che è nel nostro? Ecco perché Guareschi stesso ha chiamato le sue raccolte Mondo piccolo: in esso c’è tutto, e c’è
soprattutto il buon vivere (ed anche il buon governo) che manca oggigiorno alle
nostre società in preda invece ad un individualismo sempre più sfrenato che
genera, come rovescio della medaglia, una corsa all’assistenzialismo di Stato
che paralizza ogni iniziativa privata e l’autorealizzazione di se stessi
(tipica invece di una dottrina politica basata sui talenti delle persone, e non
sulle capacità tecnico-economiche dello Stato).
Peppone, Don
Camillo e tutti i loro compagni di avventure hanno tanti pregi. Ed anche i loro
difetti sono per noi pregi dal momento che Guareschi opera in questo caso una
vera e propria pedagogia negativa facendoci vedere come i cattivi comportamenti
hanno sempre la punizione che portano con sé: se non dovesse apparire in questa
terra c’è sempre la giustizia divina che, puntuale e perfetta, saprà dare a
tutti il giusto per le proprie azioni. Un altro elemento interessante di questo
Mondo è il fatto che non vi è la
benché minima traccia di parole volgari (o, come accade talvolta oggigiorno, di
bestemmie): i racconti possono così essere destinati alla lettura sia di un
pubblico adulto che di quello più giovane, segno ancora della perenne attualità
di Giovannino Guareschi e di queste sue opere.
Questo
articolo, come avete modo di vedere, non riporta nemmeno una citazione del Mondo piccolo benché ne potessimo
scrivere centinaia: facendo questo, tuttavia, ne avremmo tralasciate
altrettante. A noi infatti interessa dare oggi uno sguardo totale al Mondo piccolo ed inserirlo all’interno
della nostra Rubrica di Storia: questi personaggi, queste avventure, queste
riflessioni, devono essere infatti visti come lo specchio di un mondo che,
ahimè!, sembra non esserci più ma che sarebbe bene che torni. Pertanto il
nostro miglior consiglio che vi diamo è di correre a comprare subito Tutto Don Camillo[4] e cercare di vivere appieno il nostro passato, presente e futuro (cioè:
memoria del passato, visione del presente, lavoro per il futuro) in compagnia
dei nostri cari amici creati dal grande Giovannino Guareschi. Troverete da soli
le frasi che vi guideranno e troverete anche gli episodi che più vi aiuteranno
nel corso della vostra vita. Riprendendo il primo articolo di questa Rubrica,
vogliamo solo riportarvi un passo (delicato quanto profondo) dedicato alla
riflessione storica
Non si tratta
di una mera riproposizione, ma la chiave per poter comprendere la semplice grandezza di Guareschi: «gli alberelli
che adesso voi bambini pianterete dentro la terra sono come il legame fra la
morte e la vita: fra la vita che sta sopra e la morte che sta sotto. E se
l'avvenire dell’albero e il suo progresso verso l'alto sono sopra la terra, le
radici sono sotto la terra. E ciò significa che l'avvenire è alimentato dal
passato […] guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato: sono gente che
seminano non sulla terra ma sul cemento»[5].
Secondo me,
nessuno ha mai espresso in così poche parole concetti così profondi.
22/01/2017
Francesco Del Giudice
[1] Italo Calvino si è espresso in
termini molto simili ai nostri in due sue opere ("Italiani, vi esorto
ai classici",«L'Espresso», 28 giugno 1981, pp. 58-68; Perché leggere i classici, Oscar
Mondadori, Milano 1995) dando e commentando molte definizioni sul concetto di
“classico” tra cui la seguente: «Un classico è un libro che non ha mai
finito di dire quel che ha da dire».
[2] E’ interessante far notare che
la Chiesa Cattolica usi un giudizio simile con gli scritti dei Santi: sebbene
si debba prendere esempio da tutta la loro vita e le loro opere (compresi
pertanto gli scritti), esiste infatti una gradualità e una gerarchia tra le
loro opere. Solamente ad alcuni Santi, infatti, è riconosciuto il titolo di Dottore, vale a dire di persona che insegna con autorità ed
ovviamente anche le loro opere sono riconosciute come insegnamenti autorevoli. Anche i Dottori della Chiesa, che si
estendono dagli albori della Chiesa (San Giustino, Sant’Ireneo di Lione, etc)
fino ai giorni nostri (Santa Teresina di Gesù Bambino) hanno tra loro una
gerarchia cosicché è riconosciuto a San Tommaso d’Aquino non solo il titolo di Dottore Angelico ma anche quello di
suprema autorità in campo filosofico e teologico. Al riguardo è interessante
ricordare che tutte le opere dei Dottori della Chiesa sono riconosciute come
autorevoli, dalle più grandi a quelle che a prima vista possono sembrare più
insignificanti: si pensi a Santa Teresina di Gesù Bambino (che ha scritto pochissime
opere di cui la più importante, Storia di
un’anima, venne messa per iscritto dalla Santa solamente per spirito di
obbedienza alla sua Superiora) e Sant’Alfonso Maria de’ Liguori il quale,
accanto alle opere di morale ha anche scritto canzoncine popolari come il Tu scendi dalle stelle ed anche il Quanno nascette Ninno, scritto
addirittura in lingua napoletana.
[3] «Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il il Figlio unigenito, che è nel
seno del Padre, lui lo ha rivelato(Gv 1,18).
[4] Tutto Don Camillo. Mondo Piccolo, BUR Biblioteca Universale
Rizzoli, 3 volumi, 2869 pagine, 2003, ISBN: 978-8817995160.
[5] Giovannino
Guareschi, Ricordando un vecchia maestra
di campagna, Tutto Don Camillo,
p. 2030. Mi segnala Fabio Trevisan, che ringrazio vivamente, questo passo
di Chesterton (autore che Guareschi amava leggere) nel suo Ciò che non va nel mondo (del 1910): «Per qualche strana ragione l'uomo pianta sempre i propri alberi da
frutto in un cimitero. L'uomo può trovare la vita soltanto in mezzo ai morti.
L'uomo è un mostro deforme, con i piedi rivolti in avanti e la testa girata
all'indietro».
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