di Francesco Del Giudice
Il giorno 1 Gennaio è riconosciuto (quasi) universalmente come l’inizio del nuovo anno civile: in particolare i Paesi di antica tradizione cristiana, o comunque legati ai costumi occidentali, fanno iniziare il computo dei giorni annuali in questa data.
Sebbene tutte le realtà portino
su di sé i tratti e i segni del tempo che passa, il fatto di calcolare il tempo è una prerogativa
dell’essere umano. Mi spiego meglio: se voi chiedete ad una pianta quanti
anni ha, essa non potrà rispondervi: potrà al massimo mostrarvi i segni dei propri anni in quanto il suo fusto avrà tanti
anelli quanti sono i suoi anni oppure (ma a patto di essere stata debitamente
curata) darà frutti corrispondenti alla sua età. Le stelle, ad esempio,
mostrano la propria età in base alla luce che emettono ma non potranno mai
rispondere di avere l’età che hanno, sebbene vivano molto più a lungo di noi.
Mi si potrebbe obiettare che in
verità, tutte le realtà create sanno di avere questa o quell’età ma non lo
possano dire perché non parlano: anch’esse pertanto calcolano il tempo al modo
degli uomini, facendo cadere la proposizione detta poco sopra. In verità,
affermare una cosa del genere (obiezione molto interessante, non c’è che dire) equivale
esattamente, invece, a dare ragione alla frase: non solo l’uomo è l’unica
creatura che computa il tempo, ma lo fa talmente bene che applica il suo
computo a quelli delle altre cose. E l’uomo è talmente sicuro di poter
computare, ed esso solo, il tempo a tal punto da poterlo anche cambiare, almeno
nella rappresentazione del suo scorrere.
Vediamo cosa voglio dire,
entrando in uno dei problemi sommi della filosofia (sebbene trattati in maniera
esaustiva da pochi filosofi) che ci riguarda in prima persona perché siamo
giunti al Giorno di San Silvestro: che cos’è il tempo?
Quando noi affermiamo che una
pianta ha dieci anni, applichiamo al computo istintivo delle cose vegetale una
categoria razionale, vale a dire umana, per cui ad ogni anello corrispondono 365 giorni. Il fatto dunque di contare 10
anelli nel fusto e dire che la pianta ha 10 anni equivale semplicemente alla
trasposizione del modo di pensare il tempo da parte degli umani in un essere
che, invece, non ragiona in questo modo.
Il
tempo infatti ha un valore oggettivo
ma si scontra, per ovvie ragioni, con un dato altrettanto importante: la
soggettività del singolo. In questo momento, ad esempio, ogni parola che state
leggendo non è nel presente, bensì nel vostro passato in quanto ogni cosa che
si fa diventa immediatamente già fatta, vale a dire passata.
Contemporaneamente, però, le parole che leggerete a breve, cioè nel futuro,
diventeranno il vostro prossimo presente, cioè il vostro immediato passato.
Passato-presente-futuro infatti non sono che scansioni del tempo che noi
vediamo scorrere (fatto oggettivo) attorno a noi e che da noi (elemento
soggettivo) è percepito.
Diceva Sant’Agostino che è
difficile dire cosa sia il tempo in quanto «lo
so finché nessuno me lo chiede; non lo so più, se volessi spiegarlo a chi me lo
chiede»[1]:
il grande filosofo d’Ippona percepiva questo problema dinanzi al fatto che il
mio presente non è che un soffio, ed il mio futuro diverrà ben presto il mio
passato. Sembra, insomma, di trovarci in una condizione illusoria oppure
irrazionale in quanto sembriamo affermare risolutamente dire una cosa che poi
invece non vediamo confermata nei fatti. Ma non è così, dal momento che lo
stesso Agostino capì che nella questione del tempo bisogna relazionarsi con
entrambi i piani di cui parlavamo sopra, vale a dire l’oggettività e la
soggettività: cos’è infatti l’oggettiva scansione temporale in passato-presente-futuro
se non la distensione della propria anima
che rileva le cose con la memoria (il
passato), che presta attenzione alle cose (il presente) ma che rileva le cose venienti per mezzo dell’attesa (il futuro)?
La soluzione di Agostino, a ben
guardare, è veramente geniale giacché il filosofo, attento alle cose reali, non
dà per scontato il fatto che esista anche la dimensione dello spirito che egli
concilia sapientemente senza fare errori o mescolanze: «per questo mi è parso che il tempo altro non sia che un distendersi.
Non so di che cosa, ma sarebbe ben strano se non fosse un distendersi dello
spirito. Che cosa misuro, infatti, te ne supplico, Dio mio, quando dico, o in
maniera indeterminata: ‘Questo tempo è più lungo dell’altro’, oppure anche
determinandolo: ‘E’ doppio di quello?’ So bene di misurare il tempo ma non
misuro il presente perché non ha alcuna estensione, non misuro il passato,
perché non c’è più. Allora cosa misuro? Non è forse il passare dei tempi,
anziché il loro essere passati? Questo avevo detto»[2].
Capiamo bene pertanto che il
tempo, benché una cosa oggettiva, debba
essere percepito come soggettivo: questo avviene in una maniera a noi
naturale per mezzo della scansione ieri-oggi-domani. Amplificando questo
concetto è facile capire che si può arrivare al concetto di successione dei
giorni, delle settimane (vale a dire di gruppi di 7 giorni cadauno) e dei mesi,
e come tale può essere soggetto a variazioni.
Non tutti sanno infatti che il computo del tempo è frutto di un
calcolo convenzionale e che il
nostro attuale calendario (vale a dire il Calendario
Gregoriano) è stato approvato relativamente di recente, cioè nel 1582, e
che in alcuni Paesi è entrato ancor più recentemente[3].
La riforma gregoriana inoltre stabilì che l’anno iniziasse il 1 Gennaio
abolendo definitivamente i tantissimi usi diversi che possiamo vedere in
particolare nel Medioevo: in precedenza, infatti, non era strano trovare città
vicine che usassero calendari differenti, in cui il primo giorno dell’anno
variava a seconda del computo prescelto. Gregorio XIII in pratica propose ed
estese a tutto il Mondo il computo che si usava a Roma e che nel corso del
tempo aveva dato maggior stabilità: si noti bene che il calcolo dell’anno
civile non segue quello liturgico, cosicché Gregorio XIII non operò nessuna
confusione né mescolanza tra i due sistemi che ancora oggi, infatti, risultano
sfalsati[4].
Convenzionale
è ancora il computo degli anni
che da secoli, ed ancor di più dopo la riforma gregoriana, è basato a partire
dalla nascita di Cristo: i romani ad esempio computavano a partire dalla
fondazione di Roma, i greci dalla prima olimpiade, etc . Anche in epoca moderna
si è cercato di introdurre nuovi computi: si pensi al calendario rivoluzionario
francese (realizzato in maniera da non avere nulla in comune con la riforma
gregoriana a tal punto che qualsiasi festività cattolica era praticamente
inconciliabile con il nuovo calendario) oppure al computo degli anni secondo l’era fascista.
Ma se il computo degli anni è
così razionale e metodico, perché abbiamo paura del tempo che passa? Non
possiamo infatti negare che, in particolare oggi, viviamo in un’epoca viziata
da una paura irrazionale dello scorrere del tempo. Guardandoci attorno infatti
non possiamo non vedere quanto sia onnipresente sia la gerascofobia (vale a dire una paura persistente, anormale e
ingiustificata di invecchiare) sia la tanatofobia
(cioè una morbosa paura della morte). Ma allo stesso tempo, segno indelebile che la
nostra società vive un vero e proprio dissociamento da ciò che si pensa e ciò
che si fa, non è pur vero che si ricerca disperatamente di vivere il presente proiettandosi sempre verso il futuro? La prova di quanto ho appena affermato è la
spasmodica ricerca dei festeggiamenti di Capodanno: cosa bisogna festeggiare,
in effetti? Che inesorabilmente il tempo
è passato? Oppure che, altrettanto inesorabilmente, siamo invecchiati di un
anno? E che, sempre inesorabilmente, ci avviamo sempre di più verso la morte?
Non vogliamo spaventare nessuno, e non vogliamo demonizzare
il corretto modo di festeggiare che fino a qualche decennio fa significava ammazzare l’anno vecchio, ringraziando per
quello passato sperando il miglior bene per il futuro. La questione infatti
è tutta nella gerarchizzazione degli eventi e del giusto modo di intendere sia
il far festa sia il proprio posto all’interno del tempo.
E’ un fatto innegabile che un discorso del genere sia
difficile senza una prospettiva religiosa, cristiana in particolare, in quanto
solo in questo modo ci si libera della contingenza delle cose per potersi
proiettare verso un mondo futuro: se si vive in una concezione religiosa,
infatti, non si avrà paura di invecchiare in quanto il tempo che passa è un
avvicinarsi sempre di più al proprio Dio per poter essere unito a lui. Ma se
non ho una concezione religiosa, e penso spasmodicamente che la mia vita si
proietti solamente nel presente (che, però, abbiamo visto essere una condizione
effimera a causa della sua infima brevità) che senso ha sperare nel futuro?
Si tratta infatti di un grande dilemma che attanaglia il
cuore dell’uomo contemporaneo: dover vivere. Per essere vivo, si sa, si deve
festeggiare, soprattutto per dare un senso alla propria vita, in quanto si
pensa di vivere bene il proprio presente: quale migliore occasione pertanto il
festeggiare sempre più festività e giornate dedicate (festa della donna, festa
dei nonni, etc etc)? Ecco che, pertanto, l’uomo che cerca continuamente di
festeggiare non fa altro che fuggire dal proprio tempo che è fatto sempre più
di eventi passati rispetto a quelli futuri: ci abbiamo mai pensato? Non sapendo
infatti in che giorno moriremo, noi abbiamo sempre più eventi alle spalle
rispetto a quelli che ipotizziamo per il futuro.
Festeggiamo pertanto intelligentemente il nuovo anno,
meditando su quello passato e facendo dei buoni propositi per il futuro:
possiamo prendere esempio dalla liturgia cattolica che invita ogni fedele a
ringraziare il Signore per i benefici ricevuti nel corso dell’anno concluso (la
famosa Messa di Te Deum) chiedendo
benedizioni per il futuro. Ma dobbiamo far questo con la certezza che
inesorabilmente, citando una canzone italiana cantata da Fiorella Mannoia, il tempo non torna più. Ma dobbiamo fare
questo senza scoraggiarci in quanto tutto ciò è connaturale alla nostra natura
umana: come abbiamo detto sopra, infatti, solo
l’uomo sa che il tempo passa e che si possa calcolare. La nostra vita infatti
ha senso solo se si accetta pienamente la nostra natura umana, comprensiva
pertanto anche della verità (amara, ma non di meno vera) che prima o poi
arriverà anche sorella morte.
Facendo questo a nostro parere ci sarà una buona fine ed un buon principio.
Altrimenti sarà solamente un inevitabile passo verso il nulla simile a quanto
si dice avvenne sul Titanic che cadde tra i flutti mentre tutti ballavano e
danzavano.
Buon anno a tutti, con i migliori auguri per poter essere
sempre più persone pensanti.
[1] Agostino, Confessioni, XI, 14, 17.
[2] Ibidem, XI, 26, 33.
[3] Basti pensare al caso della
Russia dove fino al 1918 vigeva il Calendario giuliano.
[4] Nella Chiesa Cattolica il
Calendario Liturgico inizia con i Primi Vespri della I Domenica di Avvento che
cade generalmente nel mese (civile) di Novembre.
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