lunedì 2 gennaio 2017

Ieri-Oggi-Domani: riflessioni sul tempo e sull’anno nuovo
di Francesco Del Giudice
 

Il giorno 1 Gennaio è riconosciuto (quasi) universalmente come l’inizio del nuovo anno civile: in particolare i Paesi di antica tradizione cristiana, o comunque legati ai costumi occidentali, fanno iniziare il computo dei giorni annuali in questa data.
Sebbene tutte le realtà portino su di sé i tratti e i segni del tempo che passa, il fatto di calcolare il tempo è una prerogativa dell’essere umano. Mi spiego meglio: se voi chiedete ad una pianta quanti anni ha, essa non potrà rispondervi: potrà al massimo mostrarvi i segni dei propri anni in quanto il suo fusto avrà tanti anelli quanti sono i suoi anni oppure (ma a patto di essere stata debitamente curata) darà frutti corrispondenti alla sua età. Le stelle, ad esempio, mostrano la propria età in base alla luce che emettono ma non potranno mai rispondere di avere l’età che hanno, sebbene vivano molto più a lungo di noi.

Mi si potrebbe obiettare che in verità, tutte le realtà create sanno di avere questa o quell’età ma non lo possano dire perché non parlano: anch’esse pertanto calcolano il tempo al modo degli uomini, facendo cadere la proposizione detta poco sopra. In verità, affermare una cosa del genere (obiezione molto interessante, non c’è che dire) equivale esattamente, invece, a dare ragione alla frase: non solo l’uomo è l’unica creatura che computa il tempo, ma lo fa talmente bene che applica il suo computo a quelli delle altre cose. E l’uomo è talmente sicuro di poter computare, ed esso solo, il tempo a tal punto da poterlo anche cambiare, almeno nella rappresentazione del suo scorrere.

Vediamo cosa voglio dire, entrando in uno dei problemi sommi della filosofia (sebbene trattati in maniera esaustiva da pochi filosofi) che ci riguarda in prima persona perché siamo giunti al Giorno di San Silvestro: che cos’è il tempo?
Quando noi affermiamo che una pianta ha dieci anni, applichiamo al computo istintivo delle cose vegetale una categoria razionale, vale a dire umana, per cui ad ogni anello corrispondono 365 giorni. Il fatto dunque di contare 10 anelli nel fusto e dire che la pianta ha 10 anni equivale semplicemente alla trasposizione del modo di pensare il tempo da parte degli umani in un essere che, invece, non ragiona in questo modo.

Il tempo infatti ha un valore oggettivo ma si scontra, per ovvie ragioni, con un dato altrettanto importante: la soggettività del singolo. In questo momento, ad esempio, ogni parola che state leggendo non è nel presente, bensì nel vostro passato in quanto ogni cosa che si fa diventa immediatamente già fatta, vale a dire passata. Contemporaneamente, però, le parole che leggerete a breve, cioè nel futuro, diventeranno il vostro prossimo presente, cioè il vostro immediato passato. Passato-presente-futuro infatti non sono che scansioni del tempo che noi vediamo scorrere (fatto oggettivo) attorno a noi e che da noi (elemento soggettivo) è percepito.

Diceva Sant’Agostino che è difficile dire cosa sia il tempo in quanto «lo so finché nessuno me lo chiede; non lo so più, se volessi spiegarlo a chi me lo chiede»[1]: il grande filosofo d’Ippona percepiva questo problema dinanzi al fatto che il mio presente non è che un soffio, ed il mio futuro diverrà ben presto il mio passato. Sembra, insomma, di trovarci in una condizione illusoria oppure irrazionale in quanto sembriamo affermare risolutamente dire una cosa che poi invece non vediamo confermata nei fatti. Ma non è così, dal momento che lo stesso Agostino capì che nella questione del tempo bisogna relazionarsi con entrambi i piani di cui parlavamo sopra, vale a dire l’oggettività e la soggettività: cos’è infatti l’oggettiva scansione temporale in passato-presente-futuro se non la distensione della propria anima che rileva le cose con la memoria (il passato), che presta attenzione alle cose (il presente) ma che rileva le cose venienti per mezzo dell’attesa (il futuro)?

La soluzione di Agostino, a ben guardare, è veramente geniale giacché il filosofo, attento alle cose reali, non dà per scontato il fatto che esista anche la dimensione dello spirito che egli concilia sapientemente senza fare errori o mescolanze: «per questo mi è parso che il tempo altro non sia che un distendersi. Non so di che cosa, ma sarebbe ben strano se non fosse un distendersi dello spirito. Che cosa misuro, infatti, te ne supplico, Dio mio, quando dico, o in maniera indeterminata: ‘Questo tempo è più lungo dell’altro’, oppure anche determinandolo: ‘E’ doppio di quello?’ So bene di misurare il tempo ma non misuro il presente perché non ha alcuna estensione, non misuro il passato, perché non c’è più. Allora cosa misuro? Non è forse il passare dei tempi, anziché il loro essere passati? Questo avevo detto»[2].
Capiamo bene pertanto che il tempo, benché una cosa oggettiva, debba essere percepito come soggettivo: questo avviene in una maniera a noi naturale per mezzo della scansione ieri-oggi-domani. Amplificando questo concetto è facile capire che si può arrivare al concetto di successione dei giorni, delle settimane (vale a dire di gruppi di 7 giorni cadauno) e dei mesi, e come tale può essere soggetto a variazioni.

Non tutti sanno infatti che il computo del tempo è frutto di un calcolo convenzionale e che il nostro attuale calendario (vale a dire il Calendario Gregoriano) è stato approvato relativamente di recente, cioè nel 1582, e che in alcuni Paesi è entrato ancor più recentemente[3]. La riforma gregoriana inoltre stabilì che l’anno iniziasse il 1 Gennaio abolendo definitivamente i tantissimi usi diversi che possiamo vedere in particolare nel Medioevo: in precedenza, infatti, non era strano trovare città vicine che usassero calendari differenti, in cui il primo giorno dell’anno variava a seconda del computo prescelto. Gregorio XIII in pratica propose ed estese a tutto il Mondo il computo che si usava a Roma e che nel corso del tempo aveva dato maggior stabilità: si noti bene che il calcolo dell’anno civile non segue quello liturgico, cosicché Gregorio XIII non operò nessuna confusione né mescolanza tra i due sistemi che ancora oggi, infatti, risultano sfalsati[4].

Convenzionale è ancora il computo degli anni che da secoli, ed ancor di più dopo la riforma gregoriana, è basato a partire dalla nascita di Cristo: i romani ad esempio computavano a partire dalla fondazione di Roma, i greci dalla prima olimpiade, etc . Anche in epoca moderna si è cercato di introdurre nuovi computi: si pensi al calendario rivoluzionario francese (realizzato in maniera da non avere nulla in comune con la riforma gregoriana a tal punto che qualsiasi festività cattolica era praticamente inconciliabile con il nuovo calendario) oppure al computo degli anni secondo l’era fascista.

Ma se il computo degli anni è così razionale e metodico, perché abbiamo paura del tempo che passa? Non possiamo infatti negare che, in particolare oggi, viviamo in un’epoca viziata da una paura irrazionale dello scorrere del tempo. Guardandoci attorno infatti non possiamo non vedere quanto sia onnipresente sia la gerascofobia (vale a dire una paura persistente, anormale e ingiustificata di invecchiare) sia la tanatofobia (cioè una morbosa paura della morte). Ma allo stesso tempo, segno indelebile che la nostra società vive un vero e proprio dissociamento da ciò che si pensa e ciò che si fa, non è pur vero che si ricerca disperatamente di vivere il presente proiettandosi sempre verso il futuro? La prova di quanto ho appena affermato è la spasmodica ricerca dei festeggiamenti di Capodanno: cosa bisogna festeggiare, in effetti? Che inesorabilmente il tempo è passato? Oppure che, altrettanto inesorabilmente, siamo invecchiati di un anno? E che, sempre inesorabilmente, ci avviamo sempre di più verso la morte?

Non vogliamo spaventare nessuno, e non vogliamo demonizzare il corretto modo di festeggiare che fino a qualche decennio fa significava ammazzare l’anno vecchio, ringraziando per quello passato sperando il miglior bene per il futuro. La questione infatti è tutta nella gerarchizzazione degli eventi e del giusto modo di intendere sia il far festa sia il proprio posto all’interno del tempo.

E’ un fatto innegabile che un discorso del genere sia difficile senza una prospettiva religiosa, cristiana in particolare, in quanto solo in questo modo ci si libera della contingenza delle cose per potersi proiettare verso un mondo futuro: se si vive in una concezione religiosa, infatti, non si avrà paura di invecchiare in quanto il tempo che passa è un avvicinarsi sempre di più al proprio Dio per poter essere unito a lui. Ma se non ho una concezione religiosa, e penso spasmodicamente che la mia vita si proietti solamente nel presente (che, però, abbiamo visto essere una condizione effimera a causa della sua infima brevità) che senso ha sperare nel futuro?

Si tratta infatti di un grande dilemma che attanaglia il cuore dell’uomo contemporaneo: dover vivere. Per essere vivo, si sa, si deve festeggiare, soprattutto per dare un senso alla propria vita, in quanto si pensa di vivere bene il proprio presente: quale migliore occasione pertanto il festeggiare sempre più festività e giornate dedicate (festa della donna, festa dei nonni, etc etc)? Ecco che, pertanto, l’uomo che cerca continuamente di festeggiare non fa altro che fuggire dal proprio tempo che è fatto sempre più di eventi passati rispetto a quelli futuri: ci abbiamo mai pensato? Non sapendo infatti in che giorno moriremo, noi abbiamo sempre più eventi alle spalle rispetto a quelli che ipotizziamo per il futuro.

Festeggiamo pertanto intelligentemente il nuovo anno, meditando su quello passato e facendo dei buoni propositi per il futuro: possiamo prendere esempio dalla liturgia cattolica che invita ogni fedele a ringraziare il Signore per i benefici ricevuti nel corso dell’anno concluso (la famosa Messa di Te Deum) chiedendo benedizioni per il futuro. Ma dobbiamo far questo con la certezza che inesorabilmente, citando una canzone italiana cantata da Fiorella Mannoia, il tempo non torna più. Ma dobbiamo fare questo senza scoraggiarci in quanto tutto ciò è connaturale alla nostra natura umana: come abbiamo detto sopra, infatti, solo l’uomo sa che il tempo passa e che si possa calcolare. La nostra vita infatti ha senso solo se si accetta pienamente la nostra natura umana, comprensiva pertanto anche della verità (amara, ma non di meno vera) che prima o poi arriverà anche sorella morte.

Facendo questo a nostro parere ci sarà una buona fine ed un buon principio. Altrimenti sarà solamente un inevitabile passo verso il nulla simile a quanto si dice avvenne sul Titanic che cadde tra i flutti mentre tutti ballavano e danzavano.
Buon anno a tutti, con i migliori auguri per poter essere sempre più persone pensanti.


[1] Agostino, Confessioni, XI, 14, 17.
[2] Ibidem, XI, 26, 33.
[3] Basti pensare al caso della Russia dove fino al 1918 vigeva il Calendario giuliano.
[4] Nella Chiesa Cattolica il Calendario Liturgico inizia con i Primi Vespri della I Domenica di Avvento che cade generalmente nel mese (civile) di Novembre.

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